Ci sono delle cose inspiegabili.
Il calzino che scopare,
la casualità degli incontri,
le chiavi che si perdono nelle borse.
E poi c'è questo sorriso idiota che mi compare sulla faccia ogni volta che ti vedo.
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lunedì 20 febbraio 2017
martedì 17 gennaio 2017
Mattino.
La mia storia d'amore con le finestre non avrà mai fine, soprattutto con questa.
Una portafinestra, doppio battente, in legno, forse noce.
Una finestra, una portafinestra.
L'ho vista spalancata sul giardino che da tanta parte lo sguardo esclude ed include.
Due battenti aperti sul mio destino e sulle infinite possibilità che la vita poteva riservare, a me, per me.
Ancora una volta ancorata ad una finestra.
I vetri sporchi, pieni di ditate di mani piccine, una retina arancione presto sostituita da veli con foglie e ricami, veli vecchi, che avevo comprato per quella casa che un tempo sentivo così mia e che proprio il tempo ha dimostrato non essere mia.
Mi manca il sole.
Mi manca la mattina.
Mi mancano le mattinate assolate e l'una del pomeriggio, il caldo che entra nei riflessi e negli occhi, sulla pelle, sulle mani, fra i capelli, sui vestiti.
Il sole che si impossessa di tutto, senza appropriarsi di nulla.
Mi piacciono le luci del mattino che attraversano i vetri, mi fanno sentire serena.
Niente stelle al neon, niente universo, ma le luci del mattino hanno sempre quel suono che mi fanno sentire un eroe a tempo perso e gli ombrelli possono rimanere agli ombrellai, tanto, anche quando piove, non riesco a credere negli ombrelli.
Pochi mesi e tutto questo sarà finito, davvero finito. Non nutro buone sensazioni, ne ho di pessime, mi sento abbandonata a un destino che non volevo prendesse questa piega, speravo di poter aprire questi battenti per molto tempo ancora, pensavo di sentire serenità oltre al tempo delle luci del mattino.
Ho paura che tutto questo finisca ed ho timore di avere ragione. Mi sento un pesce fuor d'acqua. Non mi sento più a mio agio ed vorrei godere del momento, ma non ne sono capace, forse.
Soffro del distacco da un posto che ho sentito casa proprio mentre avevo abbandonato l'ultimo luogo che ho sentito mio.
Le chiavi, la porta, la luce, quell'aula grande sempre illuminata, che adesso mi manca, pur potendoci entrare in qualsiasi momento.
Io i posti li sento quando mi abbandonano, li sento salutarmi, sento il loro addio, sento che mi mancheranno prima ancora di perderli e non vorrei perdere questo.
Quella stanzina così piccola dove ho chiamato così tante voci per sapere se sarebbero mai diventate mani, volti, nomi, per me.
La panca dove ho fatto le cinque del mattino più di una volta.
I tasto che ho suonato per la prima volta, di nascosto e poi ho tentato di suonare svariate volte.
Le sedie che chiudo e quella che non riesco a far star su, quasi il mio peso fosse troppo, troppo a lungo.
Il pc che parte quando vuole lui.
Il bagno che ho lavato, i pavimenti che ho pulito ed i panchetti che tendo ad impilare per una qualche mia strana mania.
Mi manca questo posto, perchè non lo sento già più come lo sentivo tre mesi fa e se fra poco tutto finisce, io che faccio?
Lo saluto.
Ma rimarrà sempre nel mio cuore.
Un'esperienza bellissima.
Devo imparare a vivere tutto come un'esperienza senza cercare stabilità e serenità.
Devo imparare a vivere senza aspettative, con leggerezza.
Devo imparare.
E dove si può imparare, se non in una scuola?
Una portafinestra, doppio battente, in legno, forse noce.
Una finestra, una portafinestra.
L'ho vista spalancata sul giardino che da tanta parte lo sguardo esclude ed include.
Due battenti aperti sul mio destino e sulle infinite possibilità che la vita poteva riservare, a me, per me.
Ancora una volta ancorata ad una finestra.
I vetri sporchi, pieni di ditate di mani piccine, una retina arancione presto sostituita da veli con foglie e ricami, veli vecchi, che avevo comprato per quella casa che un tempo sentivo così mia e che proprio il tempo ha dimostrato non essere mia.
Mi manca il sole.
Mi manca la mattina.
Mi mancano le mattinate assolate e l'una del pomeriggio, il caldo che entra nei riflessi e negli occhi, sulla pelle, sulle mani, fra i capelli, sui vestiti.
Il sole che si impossessa di tutto, senza appropriarsi di nulla.
Mi piacciono le luci del mattino che attraversano i vetri, mi fanno sentire serena.
Niente stelle al neon, niente universo, ma le luci del mattino hanno sempre quel suono che mi fanno sentire un eroe a tempo perso e gli ombrelli possono rimanere agli ombrellai, tanto, anche quando piove, non riesco a credere negli ombrelli.
Pochi mesi e tutto questo sarà finito, davvero finito. Non nutro buone sensazioni, ne ho di pessime, mi sento abbandonata a un destino che non volevo prendesse questa piega, speravo di poter aprire questi battenti per molto tempo ancora, pensavo di sentire serenità oltre al tempo delle luci del mattino.
Ho paura che tutto questo finisca ed ho timore di avere ragione. Mi sento un pesce fuor d'acqua. Non mi sento più a mio agio ed vorrei godere del momento, ma non ne sono capace, forse.
Soffro del distacco da un posto che ho sentito casa proprio mentre avevo abbandonato l'ultimo luogo che ho sentito mio.
Le chiavi, la porta, la luce, quell'aula grande sempre illuminata, che adesso mi manca, pur potendoci entrare in qualsiasi momento.
Io i posti li sento quando mi abbandonano, li sento salutarmi, sento il loro addio, sento che mi mancheranno prima ancora di perderli e non vorrei perdere questo.
Quella stanzina così piccola dove ho chiamato così tante voci per sapere se sarebbero mai diventate mani, volti, nomi, per me.
La panca dove ho fatto le cinque del mattino più di una volta.
I tasto che ho suonato per la prima volta, di nascosto e poi ho tentato di suonare svariate volte.
Le sedie che chiudo e quella che non riesco a far star su, quasi il mio peso fosse troppo, troppo a lungo.
Il pc che parte quando vuole lui.
Il bagno che ho lavato, i pavimenti che ho pulito ed i panchetti che tendo ad impilare per una qualche mia strana mania.
Mi manca questo posto, perchè non lo sento già più come lo sentivo tre mesi fa e se fra poco tutto finisce, io che faccio?
Lo saluto.
Ma rimarrà sempre nel mio cuore.
Un'esperienza bellissima.
Devo imparare a vivere tutto come un'esperienza senza cercare stabilità e serenità.
Devo imparare a vivere senza aspettative, con leggerezza.
Devo imparare.
E dove si può imparare, se non in una scuola?
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domenica 8 gennaio 2017
Potenzialità.
Esistono dei luoghi speciali oltre alle librerie e alla scuola di musica, ovviamente.
Sto parlando di quei luoghi che ti mettono alle strette con te stessa e ti fanno uscire vincitrice da questo confronto che solitamente ti pone spalle a muro senza fiato : un esempio è dato da Decathlon.Lo scorso anno feci un colloquio dopo il quale fui chiamata a fare la commessa da loro, ma a causa di altri impegni lavorativi ed alla prospettiva di un lavoro differente , non riuscii ad andare.
Era il periodo del 'non ti preoccupare, ci sono io ad aiutarti e sostenerti, non serve che tu ti ammazzi di lavoro correndo da un punto all'altro della città'. Tre settimane dopo mi ritrovavo sola, senza una casa, senza risparmi e senza sapere dove sbattere la testa.
Anzi, avrei voluto sbattere la testa più e più volte contro l'esoso dondolo di vimini comprato ad aprile, per esaudire un grande desiderio del prode Ulisse, ma quel dondolo, come quasi tutte le mie cose, l'ho lasciato ad Itaca ed Ulisse non ha avuto premure al riguardo.
In ogni modo, Decathlon, è il paradiso degli indecisi e dei mediocri.
Le persone come me, per un attimo, si sentono in grado di scalare montagne, nuotare in acque buie e profonde, segnare rigori e correre per ore ed ore verso mete lontane.
Le persone come me, vivono ogni giorno con la totale consapevolezza della propria goffaggine.
Mi chiamo Penelope, non ho ancora trent'anni, sono bassa e piccola, ma soprattutto, sono la persona meno coordinata di questo mondo.
E ne sono pienamente consapevole.
Tuttavia, Decathlon, mi regala un sogno, anzi, mi vende un sogno di una vita diversa e migliore: quando compro una canotta iper traspirante, la palla da pilates, il panchetto per lo step, il laccio catarifrangente, io compro un'idea di me stessa nel pieno del cambiamento.
Un cambiamento che poi non effettuo, però comunque nella mia testa vedo già compiuto.
Decathlon fra i suoi scaffali mi trasmette un'immagine di me sportiva, forte, sudata, libera.
Oggi, mi ha regalato il sogno di una Penelope che corre con i suoi pattini veloci a soli 49,50.
In questa immagine non indosso caschetto, protezioni, ginocchiere, paracolpi, imbottiture di gommapiuma che mi salvaguardino dal disastro che sei ruote sotto ai piedi potrebbero significare per la mia incolumità.
E mi basta ed avanza.
Ci sono luoghi magici, in fondo.
Oltre la mente, grazie alla mente.
sabato 7 gennaio 2017
Giugno.
E allora sognò Atene
e la sua bocca spalancata
E la sua mano da riscaldare
e la sua vita stonata
E quel suo mare senza onde
e la sua vita gelata
E allora sognò Atene
sotto una nevicata
Guardalo come cammina
ballerino di samba
E come inciampa in ogni spigolo
innamorato e ridicolo
Come guida la banda
come attraversa la strada
senza una gamba
Portami via da questa terra
da questa pubblica città
Da questo albergo tutto fatto a scale
da questa umidità
Dottoressa chiamata Aprile
che conosci l'inferno
Portami via da questo inverno
portami via da qua
E allora sognò Atenee l'ospedale militareEd i soldati carichi di pioggiae un compleanno da ricordareEd un ombrello sulla spiaggiae un dopoguerra sul lungomareE allora sognò il tempoche lo voleva fermareGuardalo come camminaLazzaro di Notre DameCome sta dritto nella tempestaalla fermata del tramChiama un tassì si mette avantidai Campi Elisi alla Grande ArcheGambadilegno avanti avantiavanti marsch!
E tu che usavi De Gregori per chiamarmi "dottoressa chiamata giugno" che ha conosciuto l'inferno e lo ha battuto palmo a palmo prima di Eracle ed Orfeo.
Non hai ancora oggi ragione del mio sorriso e della passione.
Non ti ho capito, non mi hai capita mai e questa gente intorno a noi fa la tua vita ed inevitabilmente la mia.
Non sono diventata una professoressa con la gonna, ma stronza come un uomo.
Ho lasciato che tutti scambiassero per pianto il brillare naturale dei miei occhi.
Ed ho smesso di sognare Atene, perché Atene significa parlare con qualcuno che un attimo prima c'è e l'attimo dopo è già altrove ed io non voglio essere un inciso, non mi accontento neppure di essere un bellissimo inciso, perché fra due virgole, quelle come me, soffocano.
Alterno il bisogno di libertà alla voglia di sentirmi legata e protetta, ma forse, l'unica pietra sulla quale riesco a nutrirmi di sole e di vento è il semianfratto che chiamo casa, bordo estremo della mia anima.
«Sono tuo, tu sei mia ».
Puoi vestirti più che chic
e rimbalzare come un clown, ma
il cuore è barbaro, barbaro, barbaro.
e rimbalzare come un clown, ma
il cuore è barbaro, barbaro, barbaro.
Ti capisce come sei,
lui ti conosce come sei
non basta un attimo, attimo, attimo,
ma anni, anni, anni
Ci va il tempo che ci va
sì, tutto il tempo che ci va
anni che vibrano, guardano, sfiammano,
anni, anni, anni
Il tetro ha recitato
sulla mia faccia i personaggi che
voleva lui e non volevo io
più lieve e superficiale, invece,
il cinema ha detto: Per favore
silenzio, si gira:
«Sono tuo, tu sei mia ».
Per capirne un po' di più
e per saperne un po' di più
non basta un attimo,
attimo,
attimo.
Ci va il tempo che ci va,
sì, tutto il tempo che ci va,
non basta un attimo,
attimo,
attimo,
ma anni, anni, anni
(Anni- Paolo Conte)
Valli a spiegare i sussulti del cuore, non basta un attimo.
Antipatia.
Dal lat. antipathīa, dal gr. antipátheia ‘sentimento avverso ’ .
A tutti è capitato di non trovare simpatico qualcuno oppure di non essere simpatico a qualcuno, i motivi non hanno sempre importanza, capita.
Capita e basta.
Tuttavia, non essere simpatici può recarci un dispiacere non sempre legato alla stima della persona che prova questo sentimento avverso nei nostri confronti.
Questo almeno, è il mio caso.
Per quanto io non riesca ad entrare in empatia con tutti, tendo ad evitare di catalogare qualcuno come 'simpatico'- 'antipatico'.
Mi piace avere una visione d'insieme prima di valutare.
Anche se solitamente, le prime impressioni, sono quelle che mi segnano, infatti, non voglio essere preda dell'irrazionalità, cerco ciò che unisce e non ciò che divide e provo a trovare il positivo anche nel diverso da me.
Poi, accade sempre qualcosa che conferma la mia prima impressione, ma questo è un altro discorso...
Stasera mi trovo ad interrogarmi riguardo al fatto che ciò che non accetto non sia il parere negativo di qualcuno, ma l'espressione negativa di questo sentimento.
C'è una sottile differenza fra l'espressione involontaria delle proprie sensazioni e la maleducazione.
C'è anche una differenza notevole fra l'impressione e la superficialità.
Ed un'ulteriore differenza fra l'affermazione di sé e la volontà di risultare sgradevole ad ogni costo.
Nell'era della simpatia ad ogni costo, della battuta forzata, del carisma affascinante, non trovo improbabile risultare antipatica, ma trovo infantile rimarcare la cosa e sentirsi in diritto di esprimere giudizi riguardo ad una persona che, oltretutto, non si conosce.
L'antipatia è lecita, la mancanza di rispetto, fa schifo.
E giudicare qualcuno in base al colore dei capelli, ad un aspetto che può apparire - ed anche essere- frivolo e leggero, non ci rende persone più profonde e saggi, anzi. Qualche volta, dietro al bisogno di leggerezza, è proprio celata la necessità di dimenticare la pesantezza.
Si può essere superficiali quando si è profondi, ma non si può comprendere la profondità, quando non ti sei mai spostata dalla superficie.
A tutti è capitato di non trovare simpatico qualcuno oppure di non essere simpatico a qualcuno, i motivi non hanno sempre importanza, capita.
Capita e basta.
Tuttavia, non essere simpatici può recarci un dispiacere non sempre legato alla stima della persona che prova questo sentimento avverso nei nostri confronti.
Questo almeno, è il mio caso.
Per quanto io non riesca ad entrare in empatia con tutti, tendo ad evitare di catalogare qualcuno come 'simpatico'- 'antipatico'.
Mi piace avere una visione d'insieme prima di valutare.
Anche se solitamente, le prime impressioni, sono quelle che mi segnano, infatti, non voglio essere preda dell'irrazionalità, cerco ciò che unisce e non ciò che divide e provo a trovare il positivo anche nel diverso da me.
Poi, accade sempre qualcosa che conferma la mia prima impressione, ma questo è un altro discorso...
Stasera mi trovo ad interrogarmi riguardo al fatto che ciò che non accetto non sia il parere negativo di qualcuno, ma l'espressione negativa di questo sentimento.
C'è una sottile differenza fra l'espressione involontaria delle proprie sensazioni e la maleducazione.
C'è anche una differenza notevole fra l'impressione e la superficialità.
Ed un'ulteriore differenza fra l'affermazione di sé e la volontà di risultare sgradevole ad ogni costo.
Nell'era della simpatia ad ogni costo, della battuta forzata, del carisma affascinante, non trovo improbabile risultare antipatica, ma trovo infantile rimarcare la cosa e sentirsi in diritto di esprimere giudizi riguardo ad una persona che, oltretutto, non si conosce.
L'antipatia è lecita, la mancanza di rispetto, fa schifo.
E giudicare qualcuno in base al colore dei capelli, ad un aspetto che può apparire - ed anche essere- frivolo e leggero, non ci rende persone più profonde e saggi, anzi. Qualche volta, dietro al bisogno di leggerezza, è proprio celata la necessità di dimenticare la pesantezza.
Si può essere superficiali quando si è profondi, ma non si può comprendere la profondità, quando non ti sei mai spostata dalla superficie.
domenica 1 gennaio 2017
2016 l'anno della fine- 2017 l'anno degli inizi
Il 2016 è stato l'anno del ritorno.
E dell'addio.
Non ho scritto neppure post, ho perso varie password, ho mangiato tanto gelato al pistacchio, comprato troppe paia di scarpe con il tacco ed ho scoperto di avere un serio problema nei confronti dei sandali rasoterra, che non mi aiutano per nulla a slanciarmi e lasciano le mie caviglie preda di serpenti che potrebbero mordermi da un momento all'altro.
Per mia fortuna, o sfortuna che sia, non ho più vent'anni, non faccio l'amore ed i campi maggio fioriscono poco.
Non c'è un Orfeo, non c'è Don Chisciotte, non c'è più neppure Ulisse.
Ulisse era partito tanto tempo prima che io me ne accorgessi, se ne era già andato prima di intraprendere la sua cura di psicofarmaci e riposo, prima di chiamare il gatto 'Gabriel'come l'arcangelo e di scrivermi 'Ti amo' su spiagge lontane, vissute con qualcuno che non ero io.
Ulisse è stato male, ha sofferto e per molto tempo convinta di essere la causa del suo malessere, ho preso il nostro mondo sulle spalle e stretto la sua vita fra le mie mani, piangendo, la notte.
Ulisse andava protetto e tutelato, perché la sua crisi momentanea avrebbe potuto rovinargli la vita e non sarebbe stato giusto.
Nessuno ha pensato di proteggere e tutelare me.
Il 2016 è iniziato male e finito meglio: è iniziato con la paura di infliggere dolore ed è proseguito con la consapevolezza di averlo fatto.
Poi c'è stata lei, Circe, una donna così diversa da me da non riuscire a credere di poter appartenere allo stesso genere: bella, disinvolta, sicura.
Nulla a che vedere con la libraia part-time, nascosta dietro grandi lenti, divisa fra casa e cane, in cui mi sono trasformata.
Ho perso la persona con la quale sono cresciuta, ma non è stata Circe, è stato Cronos ; il tempo ci aveva mutati e non abbiamo pensato di avvisarci vicendevolmente.
Abbiamo preferito accumulare silenzi e mobili, credere in un sogno che era divenuto sonno.
Ho perso le mie amiche, quelle con le quali ho trascorso gli ultimi anni di risate e vino.
Non sapevo come spiegare quello che stavo vivendo e quando avrei avuto bisogno di loro c'era già un Oceano di mancanze a separarci.
Ho perso la 'mia' casa, che era la 'sua' casa e per molto è stata la nostra casa, senza virgolette che legittimino il termine.
L'ho saluta quella casa, l'ho salutata stanza per stanza ricordandone i mobili vecchi, le pareti colorate, i luoghi segnati da memorie d'amore e quelli segnati da dolori indelebili. Mi manca quella casa con la porta rotta, il cancello cigolante e la muffa alle pareti.
Ho perso tutte le foto, i ricordi, i miei scritti, ho perso tutto quello che il pc conteneva, compresa la fiducia.
Ho perso tutto non appena stava per divenire vero.
Sono cambiate tante cose e tante altre sono accadute.
Ho scoperto una sana e vera passione per il teatro che mi vede completamente diversa da quella che sono e al contempo, mi lascia libera di essere, quella che non sono mai.
Ho trovato calore, possibilità, ho trovato un mondo di libertà in cui la mia frivolezza non è censurata e la voglia di attenzione non è condannata.
Ho provato l'emozione del palco ed è stato bellissimo e sto provando la paura dello spettacolo, uno spettacolo bello, profondo, difficile, complesso, ma davvero nostro.
Ho conosciuto persone nuove che sono diventate amiche e quotidianità.
Ho ritrovato la mia amica Alpha che da un altro stato riesce a darmi la forza per essere esattamente come lei mi vede : indipendente e grandiosa.
Ho cambiato lavoro perché qualcuno, senza sapere bene come e perché, ha creduto di potermi dare una possibilità e dentro questa possibilità ci sono un'infinità di cose meravigliose che mi fanno alzare al mattino con la voglia di vivere e portare avanti una causa in cui credo davvero.
Ho comprato casa ed è strano almeno quanto è stato strano raggruppare gli oggetti di una vita in fretta e furia e gettarli dentro auto sconosciute e portarli in cantine, soffitte e case di altri.
Ho sacrificato tutto per il mio cane ed il mio gatto che non sarebbero resistiti ad una vita con un eroe che si dimenticava di dargli da mangiare.
Ho litigato molto.
Ho chiesto scusa, spesso.
Ho chiesto perdono senza che mi venisse dato.
Ho perdonato. Tanto. Tutto. A tutti.
Il 2016 è stato l'anno del perdono, quello in cui ho deciso davvero di comportarmi come avrei voluto che gli altri si comportassero con me, con la consapevolezza che molto probabilmente non accadrà mai.
Ho detto addio agli ultimi dieci anni di vita.
Ben arrivato 2017, con te, si inizia davvero.
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giovedì 15 gennaio 2015
La piccolo botte dei desideri
Non so se avete letto l'iniziativa di quella donna che, per affrontare i giorni bui, decide di ricordare quelli luminosi. (Non troverò mai più il link, lo so).
Beh, che novità, quale donna, in fondo, non ricorda i giorni degni di essere vissuti, quale persona, non si è mai aggrappata con tutta se stessa al ricordo felice, per sopportare tutti quei momenti, che proprio, sembrano i più difficili da affrontare.
L'iniziativa carina però, della donna 'illuminata', è quella di scrivere ogni giorno, in una sola frase, qualcosa di bello, di felice, qualcosa che possa farle ricordare quel suo giorno, come un giorno ben speso, poi, gettare il biglietto in una botte per ripescarlo quando l'anima è in sussulto.
Ho deciso di trarne ispirazione.
Anche perché io, nelle botti, ci conservo i tappi delle bottiglie di vino, ma ogni volta che fisso quei tappi, mi rincorre il terrore della cirrosi epatica, nulla a che vedere con gioia , speranza e vita, insomma.
Il mio primo tentativo del ricordo di un momento felice del 15 gennaio 2015:
sono felice di dover studiare quello che devo studiare.
Poco importa se vivrò un mese infernale di ansia e panico, per poi dover affrontare l'esame che mi ridurrà in pezzettini, un'altra volta.
Sono davvero felice di studiare le trasformazioni linguistiche.
Penelope è propositiva.
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giovedì 24 luglio 2014
Le libere donne di Magliano (M.Tobino)
Non amo le premesse, spesso sono inutili, questa volta no.
Premessa: giugno 2012, una delle persone che più amo e stimo al mondo, mi regala questo libricino.
Il biglietto gridava
Un anno dopo, mi avrebbe accompagnata nell'ex Ospedale psichiatrico di Maggiano, a Lucca, dove hanno vissuto le AGITATE, divise in due gruppi: le stabili e le occasionali. Donne agitate, unione fra bestia e dea.
La sofferenza nel camminare quei luoghi era tanta, un misto di paura, ansia, commozione.
Attorno a me, un gruppo di specializzandi in Psichiatria, grandi spazi sporcati dalle finestre rotte, disegni sui muri, sensazioni nell'aria.
Camminavo e sentivo cantare la paziente che "canterà ciò che l'opprime, svelerà in quella solitudine il suo mistero".
Vedevo la Berlucchi, una malata depressa, che piange"lacrime limpide dicendo che sua è la colpa di tutto e che la uccidano perché è la minima pena", mentre si gettava la testa contro il muro per spaccarsela.
Premessa: giugno 2012, una delle persone che più amo e stimo al mondo, mi regala questo libricino.
Il biglietto gridava
"Alla mia 'Penelope'.
Amica.
Moglie.
Compagna.
Sorella.
Tua 'Cerere'*."
La sofferenza nel camminare quei luoghi era tanta, un misto di paura, ansia, commozione.
Attorno a me, un gruppo di specializzandi in Psichiatria, grandi spazi sporcati dalle finestre rotte, disegni sui muri, sensazioni nell'aria.
Camminavo e sentivo cantare la paziente che "canterà ciò che l'opprime, svelerà in quella solitudine il suo mistero".
Vedevo la Berlucchi, una malata depressa, che piange"lacrime limpide dicendo che sua è la colpa di tutto e che la uccidano perché è la minima pena", mentre si gettava la testa contro il muro per spaccarsela.
"NON SOFFRE BESTIALMENTE, PENSA DOLOROSAMENTE , E I SUOI OCCHI ESPRIMONO QUESTO."(pag 15)
In tutto questo vortice emozionale, una discussione:
elettroshock.
Una sfiducia palpabile, un uomo, un medico, un possibile psichiatra che scende dall'auto senza salutarmi, perché nella mia ignoranza,
temo questa pratica e soffro per la sua messa in atto.
Poi mi tranquillizzano
" l'elettroshock uccide l'io,
se non c'è l'io,
non c'è più nulla da curare".
Mi sento meglio.
Grazie Tobino,
hai fatto innamorare tutte le agitate.
Un po',
anche quella che c'è in me.
(* a te, un asterisco fra parentesi, quando un inciso non ti rappresenterà mai.
Cerere che decide di trascorrere sei mesi all'inferno, per permettere a Proserpina di vedere ancora il sole e la terra, dopo che in quel campo, ad Enna, hanno provato a distruggerle la vita.
Nel 249 a .C. , forse era diverso, ma la storia, va contestualizzata
e questa volta, il contesto, è il mio cuore.)
(Ps. da una che a quindici anni ha incontrato Ulisse ed amato i Dialoghi con Leucò di Cesare, ci si può aspettare una vita fatta di miti.)
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mercoledì 2 luglio 2014
IL CLUB DEL LIBRO 1 LUGLIO 2014
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sabato 14 giugno 2014
La prima sagra dell'estate.
Ravioli ai frutti di mare Il sugo era sublime, il ripieno anche, ma la cosa che mi ha stupita è stata la consistenza della pasta,veramente perfetta e ben tirata. |
Muscoli. C'è poco da commentare. |
Muscoli. |
1° classificato alla gara "Il muscolo più grande". |
Ultimo classificato. (purtroppo il vermentino ha fatto effetto . . . ) |
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giovedì 29 maggio 2014
Il club dei lettori 2
L'esperienza del club del libro si è rivelata decisamente piacevole:una bottiglia di vino, libri, parole e sorrisi.Il senso di appartenenza che mi lega profondamente a chi ama i libri, riesce a creare una sintonia inaspettata persino con persone mai viste o da poco conosciute.
Questo mese abbiamo optato per "Eureka street", un libro consigliato da una ragazza del "club".
Non era presente martedì sera, almeno fisicamente, sta vivendo un infortunio momentaneo, uno di quelli che colpisce ormai una donna su tre, tante donne che conosco, pezzettini di cuore che lottano come solo le donne sanno fare. Ovviamente si tratta di una situazione momentanea, perché noi l'aspettiamo, con le sue espressioni visive, i gesti ed i sorrisi.
Il cibo non era all'altezza delle aspettative, ho trovato qualche difficoltà a gestire il 'senza glutine'-'vegano', però tutto sommato, le partecipanti sono ancora vive senza intossicazioni alimentari e mi sento quindi di consigliare le ricette adoperate.
1- grano con zucchine trifolate e pachini
2- torta di patate e zucchini
3- riso basmati con asparagi e gamberetti
4- riso integrale con olive, mais, carciofini, peperoni, carotine e germogli di soia.
Ovviamente non vedo l'ora di 'ricevere' il libro ed iniziare a leggerlo.
Il prossimo incontro del club del libro sarà il 24 giugno, sarà caldo e sarà bellissimo vivere una serata estiva, con il suo profumo, il vino, i libri e un'ottima compagnia.
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domenica 18 maggio 2014
Liberazioni
Si sentiva libera, finalmente.
Mentre apriva la sua finestra sul mondo,
sentì l'ansia del ricordo.
I gesti, memoria istintiva,
le voci, legate ai gesti.
Se lui fosse stato li,
le avrebbe richiesto di chiudere quella finestra,
che lo infastidiva.
Se lui fosse stato lì,
avrebbe trovato sciocco
mangiare fragole guardando fuori.
Ma lui non c'era più, ormai,
e Penelope non dovette aspettare che uscisse,
questa volta:
aprì la finestra,
mangiò una fragola
e tirò un sospiro, carico di consapevolezza.
Da quel giorno nessuno, l'avrebbe più costretta a chiudere le sue finestre.
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