sabato 22 luglio 2017

Tradimenti.

I Greci hanno costruito la loro grammatica su un concetto risultativo estremamente brillante: il verbo oida, che prevede che io abbia visto e quindi sappia.
Mi chiedo allora, se quello che mi sia mancato, sia stato posare lo sguardo sulla parte lesa, oppure, se abbia volutamente voltato la testa per non vedere e non dover sapere.

Due anni di tradimenti, subiti ed inflitti, due anni di mancanze o assidue presente e l'unico tradimento per il quale io abbia pianto, è quello che porto dentro di me.

Inutile tentare di aprire la sfera del dolore agli altri: non posso e non voglio farlo, almeno fino a quando non sarò in grado di sostenere la delusione derivante dalla mancanza di tatto che per tutta la vita ha accompagnato ogni mia inclinazione negativa o semplicemente, il fallimento.

Ed eccomi qui, ancora una volta, dopo mesi, a considerare una mia colpa, questo corpo che mi appartiene e decide in qualche modo di non appartenermi.

Succede che i mesi passano veloci e tu ti convinci razionalmente che non esistano colpe e non avresti potuto fare nulla di diverso rispetto a quello che hai fatto e le cose succedono, così.
Ti chiedi ogni giorno se non sei stata in grado di ascoltare la voce del tuo corpo ed i segnali che ha tentato di inviarti, ti chiedi anche se quei segnali, li hai ignorati, per paura, timore, mancanza di voglia o presunta mancanza di tempo.

Ogni tanto ti assolvi.
Quasi sempre ti incrimini.

E poi.
Poi succede che qualcuno che hai vicino, vive qualcosa di simile a te ed allora tutto cambia e non riesci a smettere di inviarle pensieri positivi e piangi, piangi del suo dolore, che è anche il tuo, piangi del suo stato e del momento che vive e tu hai vissuto.
Senza sapere fino in fondo cosa possa provare, senza avere i mezzi per poterle cullare quel dolore che tu hai dovuto vivere in solitudine, che tu hai scelto di vivere in solitudine, perché hai preferito il silenzio alle parole sbagliate.

Io ho potuto sceglierlo e mi chiedo se anche lei avrebbe voluto farlo e provo a starle accanto camminando in punta di piedi e a testa bassa, seguendola con lo sguardo, da lontano, la giusta posizione che mi appartiene, non essendo la sua famiglia o una sua amica.

La guardo e quindi so.

I miei amati Greci che mi insegnano a vivere nel 2017, con la loro grammatica.

E vorrei abbracciarla e piangere con lei e dirle di non sentirsi colpevole, perché se un braccio rotto, è un braccio rotto, quello che ci succede, non è sempre limpido:
una ferita è una ferita, la puoi fasciare e stare attenta a non prendervi colpi.
Una pustola, freme e pulsa e diviene la piaga della tua anima, rottura di una natura contro la quale non sapevi di essere incazzata.

Spiegami come hai fatto ad abbandonarmi?
Perché hai scelto di punirmi?
Cosa hai fatto al mio corpo?

Un paio di mesi prima, è tutto a posto, tutto funziona e svolgiamo al meglio ogni nostra regolare funzione umana.
Un paio di mesi dopo, scopri che il tuo essere donna, si è silenziosamente ammaccato.

E tutto crolla.
Crollano le certezze.
Perché io lo so che il mio essere non dipende dalla procreazione,
so che non era e non è il momento, so che per essere madri non basta un utero, talvolta non basta neppure metterlo al mondo, un figlio.
Eppure, quella che manca, è la scelta.

Mi sento tradita da un corpo che non mi ha avvertita e non rispetta la mia libertà di scelta,
mi sento ferita da un insieme di organi giovani e controllati, curati, che hanno deciso di non essere più quello che dovrebbero, così, da un giorno all'altro.

E ti chiedi chi tu sia.
Cosa tu possa fare.
Se questo ti ha cambiata davvero per sempre e fino a quando riuscirai a trattenere le lacrime davanti ai figli degli altri, davanti alle scelte di altri.

Diventerò una di quelle antiabortiste che non tollera la fellatio in quanto assassinio di spermatozoi?
Sarò una perbenista estrema che crederà che i figli vengano quando vogliano e porterò avanti campagne contro la contraccezione?
Sarò un'acida di quelle che davanti ai bambini che piangono, tirerà dritto?

Vorrei capire perché.
Non c'è un motivo.
E lo so che ci sono cose peggiori e che non posso fasciarmi la testa.
So che ormai siamo nel 2017 e tutto è in divenire.
So anche che sono fortunata e sono sana e sono forte e sono parte di quella popolazione privilegiata che ha la facoltà di curarsi e rivolgersi ad una medicina oculata e moderna.

Però sono ferita.
Ed incazzata.

E rivolgo al mio corpo parole di rabbia e di odio, di sofferenza e di fastidio.
Perché a me?
Ebbene si, me lo sono chiesta.

Perché ora?

Perché?

Non ho risposte.

Passano i mesi ed accetto i cambiamenti, ma non riesco ad accettarli.
Pensavo che sarei riuscita a superare tutto con forza ed ironia, ma poi accade che qualcuno soffra per motivi simili ai tuoi e rivivi tutto.

E se hai la fortuna di scegliere le parole giuste, è solo perché hai la sfortuna di sentire parte del suo dolore.
E se hai la possibilità di starle accanto, la sfrutti, a costo di essere fuori luogo.

Perché in tutto questo, qualcosa di positivo ci sarà e forse è proprio questo: attraversare un dolore e viverlo giorno per giorno, per poter accarezzare da lontano, il dolore di un'altra.

Non sarò un'antiabortista.
E neppure contraria alla contraccezione.
Tanto meno riuscirei a non avvicinarmi ad un bambino triste.

Il mio disagio, deve essere solo mio.
Lo condivido con i pochi eletti, che considero in grado di capirmi, senza pensare a quanto io sia vittimista o superficiale, con chi mi getta un'occhiata ogni tanto, ma non mi impedisce di vivere una vita normale, con quelli che quando piagnucolo davanti ai loro figli, sanno che piango lacrime di gioia.

Io non sono il mio corpo.
Questo corpo che ha deciso di tradirmi e di lasciarmi priva delle mie libertà, questo corpo autoritario che pensa di poter influire così tanto sulle mie decisioni.

Non la sono.

Sai che c'è caro mio?
C'è che io non mi voglio sentire incompleta e non sarai tu a rendermi tale.
C'è che nonostante il dolore, il fastidio e la debolezza, io voglio fare tutto quello che voglio ed altro ancora e se dovrò stare sdraiata a maledire qualcuno, maledirò solo la mia cocciutaggine e non il limite imposto da te.
C'è che la vita, cazzo, va avanti, eccome se va avanti, che tu voglia o no.

Sono una donna e sarò sempre una donna a prescindere da quello che i miei organi riproduttivi vogliano o meno fare.
Pigri di merda.
Inadempienti.
Insensibili.
Irresponsabili.
Truffaldini.
Forse sarete causa del mio dolore, ma non del mio malessere.

Perché in quell'abbraccio immaginario che ho stretto ieri a distanza e con qualche messaggio, proprio nel mezzo di quell'abbraccio, io l'ho detto : "il tuo corpo ti ha tradita, ma ti prego, non tradire te stessa".

Ora e sempre, più forte di prima.



domenica 16 luglio 2017

Click.

Attendeva quel click come si attende il primo vagito del proprio figlio:
dolorante, sudata, preoccupata, spaventata e con tutta sè stessa.
Di lì a poco, lo avrebbe sentito, il primo vagito di sua figlia, quella figlia voluta
nonostante tutto e nonostante tutti.
Capitata come capitano tutte le cose belle della vita, per caso e per gioia.
A quella figlia avrebbe dato il nome della rinascita, quello della luce e della vita,
l'avrebbe chiamata come l'alba dalle dita di rosa, per fortuna però, nella versione abbreviata.
Ma tutto questo, non lo sapeva ancora, perchè ancora non era accaduto.
In quel momento, non sapeva in realtà neppure tutto ciò che era accaduto e tutto ciò che era
accaduto a lei.
Non esisteva più: per lei era solo attesa e batticuore.
Nell'attesa di quel click, sentiva il braccio di lui attorno alle sue spalle e voleva ricordarsi di questa
sensazione per sempre, avrebbe voluto che quella pelle le rimanesse addosso per poterla sentire la sera, per poterla accarezzare,
nel dolore, per poterla esaminare da vicino e riconoscervi una parte di sè.
Nell'attesa di quel click sentiva solo l'abbraccio di suo padre. Il primo.
Forse l'aveva già abbracciata, anzi, le piace pensare che quelle mani furono le prime a stringerla appena nata,
nascondendola e proteggendola, mentre attenda il suo primo respiro a pieni polmoni.
Un click, un'attesa a cuore aperto ed in totale apnea.
Sorride, un po' troppo.
E mentre sorride pensa a come dovrà giustificare il turbinio di emozioni alla donna che l'aspetta a casa
e che giudica tutto quello che lei sente e critica persino quell'incontro.
Un padre, il proprio padre, si dovrebbe incontrare tutti i giorni, facendo colazione o davanti alla porta del bagno,
si dovrebbe conoscere a memoria l'odore del proprio padre e le scuole frequentate e la cadenza delle sue parole.
Un padre, dovrebbe essere un papà e non uno spermatozoo che ti abbandona.
L'attesa di un click ed il dolore di tutta la propria vita:
sperare che questo istante duri per sempre per continuare ad avere accanto mio padre
e
sperare che questo istante finisca subito perchè lui mi ha abbandonata ed io non voglio amarlo.
Non lo sapeva, con quei riccioli lunghi e il sorriso troppo sorriso, che quell'uomo aveva rinunciato a sè stesso, rinunciando a lei.
CHe quell'uomo aveva combattuto anche quando non sapeva più chi era il suo nemico, per riprendersela.
Che quell'uomo l'amava così tanto da non credersi all'altezza di essere suo padre ed averla lasciata a chi le poteva dare
una vita migliore.
Perchè sulla carta era così e così ci era stato raccontato, fino a quel momento, avevamo sempre creduto all'ipotesi di una
vita migliore.
Non sapevamo ancora che quella vita migliore, ci aveva sottratti, alla nostra.
Magari non migliore, ma semplicemente alla nostra vita.
Click.
Il sorriso scompare.
Vorrei cercarti, ma dovrei odiarti.
Non mi hai voluta, non ti voglio io.
Ho una madre e mi basta.
Ti voglio bene.
Non vorrei.
Click.
Non te ne andare.
Non lasciarmi andare.
Lotta per me.
Prendimi.
Dammi una ragione per rimanere.
Vattene.
Click.
Non si può smettere di essere figlie.
Click.
Sarai sempre mio padre.
Click.
A presto.
Click.
CI sentiamo?
Non credo.
Non lo potevano sapere, ma non potremmo saperlo neppure noi, perchè le foto, parlano, ma non hanno voce,
raccontano, senza parole, ritraggono, ma non si spiegano.
CLick.