venerdì 30 giugno 2017

Scoperte.

Sorridere della propria ignoranza e rendersi conto che nonostante i propri limiti ci siano cose che riescano a giungerti, magari male, magari non come dovrebbero, ma arrivano.
Due giorni fa, il mio amico delle notti trascorse su scalini freddi fumando mille sigarette, quello che 'Penny se tu fossi un uomo o se io non fossi gay, saremmo la coppia perfetta",
mi ha tradotto in musica l'anima.

Quel senso di stordimento dato da prolissità e dall'incedere sicuro e perplesso, il tentativo perenne, il dubbio, l'incertezza, l'eterno interrogarsi dei miei amati russi, tradotto in note.

Rachmaninoff e l'Etude-Tableaux e...

...niente, vorrei dire qualcosa, ma non c'è nulla che io possa pensare o scrivere, forse citerei qualcosa, Delitto e Castigo o forse l'Adolescente, si, l'Adolescente.


Ieri parlandone, ho minimizzato, come sono brava a farlo!, perché vivo l'imbarazzo nel sentire in uno stato primitivo delle emozioni che non ho modo di cogliere tramite tecnica o studio.

Quelle mani che correvano velocissime su ottantotto tasti che sembravano otto e poi ottomila, un suono continuo e comunque scandito, la virgola giusta, nel giusto inciso, nel paragrafo giusto.

E che puoi dire, di tutto questo?

Rimani ferma, con gli occhi chiusi e ti senti passare il treno di Anna sulla testa, mentre sei tu a scegliere fra cuore e mente, convenzioni e libertà, amore e dolore.


Non riesco a smettere di ascoltare questo russo che mi traduce parole che non pronuncio, in note, che non sono più solo suoni, ma vibrazioni che mi impongono di chiudere gli occhi e stare ferma, attenta e completamente rilassata.

Quasi al pari del mare e dell'acqua nella quale mi rifugio per proteggermi dalle brutture del mondo.

mercoledì 28 giugno 2017

martedì 27 giugno 2017

Anche oggi cresco domani.

"Lui impiegava il suo tempo per soffrire del tempo che passava"

Circolare, non penso, ma vivo, circolarmente.

Ed ecco qui, il libro iniziato a settembre, ancora fra le mie mani, per poter terminare in questa fine di giugno le ultime pagine di un ultimo capitolo.

"Del provar piacere nel poter rimpiangere il desiderio"

Si legge ciò che si è, si scrive ciò che si è, sempre.

E allora, questo ho sentito.

Poi, ho ascoltato anche Preludi e Ballate ed ho colto la battuta su Bach e Chopin:

forse si dovrebbe vivere come suona il primo e invece, si finisce sempre nel vortice del secondo.

Ho ascoltato tutto. Poi ho spento.
Ed ho ricominciato ad ascoltare.
Poi mi sono emozionata nel silenzio.
Così ho ricominciato.

Quante cose ho imparato finendo qui, per caso e per sorte.

Nell'ultimo anno ho bevuto un'infinità di bottigliette d'acqua frizzante, cenato fuori qualche volta di troppo, trascorso almeno trenta serate in Loggia, baciato una serie imbarazzante di persone e mentito a me stessa ogni volta che mi domandavo se tutto quel vivere mi avrebbe condotta a qualcosa.
No.
Meglio dare la colpa della mia demenza al Negroni sbagliato ed alla crema di caffè.
Nell'ultimo anno ho fumato circa un pacchetto di sigarette al giorno, provato a smettere almeno in due occasioni, ho regalato la mia sigaretta elettronica viola ad un completo sconosciuto e lasciato a Paola il resto del tabacco che non mi riesce a dare la soddisfazione che ricerco.
Ho mentito a me stessa almeno tre volte, ma nessuna maschera teatrale, trucco compreso, hanno retto al confronto con la solitudine e l'intimità.
Ho comprato una scala e nessuna porta che la celi: in fin dei conti, è meglio farci i conti tutti i giorni con i gradini, non sia mai che possa dimenticarne uno e finire per farmi il male che ho sempre cercato di evitare.
Il dolore fisico, mia grande paura, il dolore che da un anno porto in me, senza che nessuno sappia, senza che nessuno veda, perché credere alle mie parole sarebbe costato troppo, quasi tutto ed allora, ho lasciato il premio 'vittima dell'anno' ad Ulisse.
Ulisse, che oggi, con stanotte, esce definitivamente da ogni cartina disegnata o colorata o immaginata.
Oggi è il mio ultimo dell'anno e anche se non indosso nulla di rosso e rinnego il luccichio costantemente, festeggio: nessun calice di Ferrari, solo io, che dimentico Itaca.
Perché Itaca, non è più casa mia.
La è stata ed ho intrapreso un viaggio lungo un anno per dimenticarmi giorno dopo giorno, le piccole insenature, le venature del legno di quella che era la mia cucina, la finestra bassa sulla quale fumavo e sognavo guardando una strada che ormai non è più la strada del ritorno, ho detto addio al cancello dentro al quale ho imparato così tardi a parcheggiare e nel quale lo spazio per me era esiguo.

Ho detto addio alla terrazza sulla quale mi sono stesa a guardare le stelle e a fare l'amore, quella sulla quale le cene, gli amici, il vino, le risate, abbondavano.

Ho detto addio alle luci di Itaca e a quel senso di inumana responsabilità che sentivo dentro al cuore quando prendere decisioni per la vita del mio Ulisse non mi lasciava dormire la notte e mi fermava il respiro e mi creava il panico.

Essere forti, quando devi essere forte.
Sono così brava.
Eppure, credo che la vera forza, sia essere forti quando si può non esserlo.

Ed allora, oggi, io dico che si, sono bravissima ed ho abbandonato la mia terra, perché quell'isola non era più mia neppure mentre l'abitavo, così come quell'uomo, non era il mio ancora prima della sua partenza e di Circe e di tutto quello che era vita sua e non mia.

Addio Itaca, oggi, fra il violino e la luce riflessa su quel pianoforte laggiù, io ti saluto, come non ho mai fatto.

Ti saluto e ti ringrazio di tutto quello che mi hai dato modo di essere e per tutto quello che ho imparato sui tuoi pavimenti, fra le lenzuola ed il cortile, perché oggi so davvero, che tutto quello che era Itaca, non mi appartiene.

Non mi appartiene più.

In  quanto a te, che sfoggi dichiarazioni con non curanza e mostri al mondo le immagini del tuo nuovo amore, a te, auguro il meglio di tutto il meglio che ci possa essere, nella tua isola, la sola che possa contenerti. Circondato dal mare.

Lontano da me.

In quanto a me...
...io sono Penelope.
La sono da sempre.
La sono da quando porto un nome che mi ha previsto un destino di attesa e gomitoli, quelli che lavoro con passione e precisione, io sono Penelope e l'Odissea, non è mai stata la mia storia.
Nessuno mi ha mai chiesto cosa provassi io, chi fossi realmente, perché mi fossi legata a quell'eroe che in casa urlava e piangeva e non contemplava altra presenza, che la sua.

Penelope, torna subito.
Solo se ne vale la pena.

Penelope, è andata via, per sempre.

Perché nessun uomo è un'isola e allora, figuriamoci se possa esserla donna.

E mi perdono di tutto, persino di quello che non ho mai commesso, affermandolo.

Perché stasera, prima di andare a letto, in un letto solo mio, avrò il tempo di struccarmi, guardarmi in faccia e trovarmi finalmente e del tutto, diversa.

Invecchiata magari, ma serena.
Senza più turbamenti.

Ciclica, come la lettura di quel libro da settembre a giugno,
ciclicamente, dico addio a tutto.

Oggi è il primo giorno della mia vita.

Porto tutto con me, non ignoro, ma dimentico.

Addio Itaca petrosa e ventosa.

Non sarà un cieco Omero a parlare di me, no.

Di me stessa, scrivo io.


Auguri Penelope.