martedì 19 dicembre 2017

Cuscini e pensieri.

Ho appena lasciato altri 480 euro sul sito del signor Ikea,
e mi domando se veramente ho bisogno di tutti questi cuscini per essere felice.

Ho concluso l'ordine, digitato i miei dati e poi mi sei venuto in mente tu.

Perché fondamentalmente io non avrei bisogno di due servizi da dodici bicchieri da bianco, da rosso, fondi, piani, medi, con merletti, senza merletti, reggi posate e posate in argento.
Non ne ho bisogno a tal punto che è tutto ancora inutilizzato nell'armadio di sala, accanto ai bicchieri da liquore, quelli da spumante e quelli che non ho ancora capito cosa dovrei versarci, ma sono lì.

Non avrei bisogno neppure dell'albero di Natale e di tutte queste candele che molto probabilmente non accenderò o dei copridivano coordinati alle tende che non nota quasi mai nessuno.

Eppure, la mia casa, aveva bisogno di dodici cuscini con la solita fantasia e di due guanciali nuovi per la tua schiena e di vari set di asciugamani coordinati, di un ripiano per il vino, di un altro tappeto che dovrò pulire quotidianamente e di un piccolo tavolino che ha la funzione di vassoio.

In realtà le uniche cose che servivano davvero erano le librerie dato che ormai ho pile di libri che si muovono ogni volta che passo accanto a tavoli, tavolini, panchetti, comodini e sgabelli.

Però quando ho creduto davvero che tu potessi tornare dalle mie parti, sapendo benissimo che non verrai e che se tu tornassi significherebbe non avere dignità o forza di resistenza, ho sentito l'innato bisogno di comprare questi cuscini dalle fantasie tutte più o meno simili, ma non uguali, come se avendo dei cuscini nuovi, tu potessi credermi diversa, magari più felice.

No, non la sono, sono sempre io, con gli asciugamani dalle sfumature rosse a causa di quelle lenzuola che mi piacevano tanto, ma sono sbiadite in un lavaggio sbagliato, con le fodere con stampati sopra gli animali, due gatti e due cani, per non fare torti a nessuno ed anche perché non ho trovato nessun procione, ahimè.

Sono sempre io con i miei bicchieri marocchini e le diciannove tazzine dentro il lavello dei piatti sporchi, in attesa di essere lavate, come la tuta bellissima che ho indossato il giorno in cui mi sono svegliata nel tuo letto e sono tornata di corsa nel mio mondo, senza sapere che perdesse colore e ritrovandomi le mani completamente viola.
Aveva anche le tasche quella tuta per la quale tutti mi hanno fatto i complimenti, senza sapere che non era quel pezzo di stoffa a rendermi carina, ma era il tuo pensiero che mi ha fatta sorridere per nove ore, mi ha fatta sentire importante ed in qualche modo amata.
Anche se, non era vero.

E dopo i sorrisi e le mani colorate, di quei momenti mi è restato un biglietto ed una tuta dentro al cesto dei panni sporchi in attesa di essere buttata o lavata a mano, se ne avrò il tempo.

Vorrei saperti minimizzare ed invece non posso, ho spostato il tuo nome sul lato nascosto del mio frigo, per l'ansia che qualcuno mi chiedesse cosa ci facessi sullo sportello, vallo a spiegare che per un attimo ho davvero creduto possibile che tutto quel mondo così lontano da me, fatto di ambizioni e di convinzioni, potesse rendermi felice.

Mi ha fatta sentire risolta, nella tua semplicità, priva di domande che potessero mettere in crisi la convinzione di agire nel modo giusto, per i giusti obiettivi, con le giuste intenzioni.

No, non sarei riuscita a rimanere calma per più della durata di una cena, con il tuo thè, che io non bevo, perché anche se sono trent'anni che tutti mi regalano thè credendo di fare cosa gradita, io amo il caffè e ne bevo troppo e mi sento a mio agio sentendo la tachicardia ed il tremore e il sapore di caffè amaro che ha accompagnato le notti prima degli esami, i colloqui, il primo giorno di lavoro, ogni mattina che il signore manda in terra, le corse in ospedale, le giornate fuori porta, i miei tentennamenti, gli scritti, le stampe, gli spettacoli.

Dimmi come fai a preferire la calma della camomilla all'agitazione di un caffè amaro, perché vorrei tanto essere in grado di sentirmi serena ed essere felice, ma ho sempre bisogno dell'inquietudine, i tempi stretti, le mille cose da fare, le risoluzioni, le traduzioni al volo, le ore contate per dormire, i minuti strappati per farmi l'ennesima doccia, dimmi come si fa a godersi una giornata a letto con il telefono staccato, la metro presa all'ultimo minuto, dimmi come si fa a non richiamare immediatamente l'ultima chiamata persa sul tuo cellulare e pensare di essere stati in grado di fare tutto al meglio, perché io, non lo sento mai, mai, neppure quando potrei o dovrei, neppure quando lo vorrei così tanto da gettarmi in una relazione come questa credendo di non rompermi i coglioni nel comprare cuscini coordinati, simili, ma non uguali.

Spiegami come si possa vivere senza rispondere alle chiamate nel cuore della notte del tuo ex collega che ormai è diventato un amico, impanicato, incapace a vivere almeno quanto ne sono incapace io, senza fare amicizia con baristi che lavorano a tre regioni di distanza e sono nati nel profondo sud e ti fanno sentire a casa ogni volta che gli capiti per sbaglio nel locale, ad un orario inopportuno chiedendogli consigli su di te.

Spiegami come posso rinunciare ai miei bambini, che mi fanno sentire amata dandomi la mano e chiedendomi come fossero da piccoli, o ai miei ragazzi che quando parlano di qualcuno devono sottolineare sempre che 'però la Penelope è più bella', anche quando non è vero e mi fanno piangere disperatamente nel cercare similitudini con me, mentre li guardo sapendo che sono molto migliori di me, più intelligenti, più acuti, più belli, più in gamba ed augurandogli che queste similitudini non implichino tutto il casino che ho in testa e il bisogno di rassicurazione che provo nel fumare una sigaretta dopo l'altra dopo che ho dovuto dire addio alla bocca dell'uomo che ho amato così profondamente da godere delle sue parole oltre che dei suoi baci.

Spiegami come fai, perché se ogni frase pronunciata dalla tua voce mi fa irreparabilmente ridere, ho sentito con te tutte le differenze che potessi sentire con una persona, trovando così scontato quel legame che ci ha fatti sentire in grado di poter mandare tutto al diavolo e vivere insieme, rivoluzionare le nostre vite, cambiare casa, cambiare lavoro, cambiare amici, cambiare tutto quello su cui tu hai sempre fatto affidamento ed io tento in vano di tenermi stretto.

Perché se il tuo attaccamento alla stabilità è morboso, il mio desiderio di un per sempre continuativo ed eterno, lo è ancora di più e ragionare sul breve termine mi è impossibile.


Io e te siamo completamente diversi e di questi cuscini mi sono stancata ancora prima di riceverli, ma con te, ho creduto che fosse possibile tutto, perché il nostro legame era dato dal proteggerci continuamente dal senso di abbandono e rifiuto che ci portiamo dentro.

Non ti avrei potuto colmare, non mi avresti potuta calmare, ma è stato così bello pensare che fosse possibile.

Non sarò mai serena, non ci spero più.
La serenità o la senti dentro di te o non la trovi in un matematico, chiuso, privo di curiosità, disperso in una semplicità che mi fa impazzire e mi attrae, ma non mi contiene.

Non sarò mai la persona che colmerà le tue mancanze perché io con le mancanze ci faccio i conti tutto il giorno, tutti i giorni e cerco di dimenticarmene bevendo qualche negroni di troppo e credendo che sia possibile lasciarmi invadere dall'amore di qualcuno che in ogni caso mi vorrebbe diversa da come sono mentre sono cosi stanca di essere desiderata per quella che non sono.

Otto anni fa, mi avresti amata, perdutamente ed io avrei saputo rendermi perfetta, almeno per un po'.
Ma oggi?

Oggi che ho provato la passione e la dedizione e la voglia reale di sentirmi appartenente ed appartenuta, pensi davvero che io sia in grado di plasmarmi?

A che pro?

Credi che non salterebbero fuori le nostre nature in interminabili scontri che dovrei avere solo con me stessa perché tu rifiuti il conflitto e preferisci il silenzio?

Sei un cuscino, è bello appoggiarmi a te, credo quasi di potermi abbandonare e riposarmi, ma poi mi accorgo che non è il cuscino a servirmi, ma sono io, sono solo io a potermi dare un freno ed assolvermi, non sei tu.

Quel messaggio con la tua voce, l'ho ascoltato mille volte, perché c'era un'inflessione così tenera da avermi riportata ai miei cinque anni, sul Cusna, con le Superga bianche ed il nastro a pallini al posto delle stringhe, il fango sulla punta ed io che piangevo disperata perché le mie scarpe bianche, non sarebbero più state bianche, ma avrebbero per sempre portato il segno di quella camminata fatta controvoglia, per uscire da una lite familiare, per allontanarci e lasciare il tempo di calmarsi a mia madre, quelle scarpe sporche erano la volontà di fermare una crisi di isteria ed io ne sentivo tutto il peso.

Ero con l'uomo che più amo al mondo, nel silenzio, nella natura, solo io e lui, con la sua mano che mi alzava di peso ogni volta che dovevano oltrepassare un sasso troppo grande o fare quel pezzo di monte nel quale sali così tanto che la pendenza ti costringe a camminare piegata e lui mi ha presa sulle sue spalle ed io pensavo che non mi sarei mai più sentita così al sicuro come su quel monte pendente sulle spalle di mio padre con le gambe da bimba e le Superga con i nastri blu a pallini bianchi.

Ed è così vero, perché non mi sono mai sentita così al sicuro come quando lui mi ha salvata da una giornata che prevedeva l'infelicità ed ha lasciato una traccia scura sulle mie scarpe chiare.

Non mi ha più salvata nessuno così.

Non c'è più stata una mano pronta a farmi saltare sui sassi.

Io l'ho cercata, l'ho cercata così a lungo e so che non è la tua mano quella in grado di sollevarmi di peso ed aiutarmi a saltare le difficoltà che ho ora davanti, ma ci ho sperato.

Non camminate, ma divani e letti e aria troppo calda, luce troppo forte, coperte troppo corte.

Non so perché io abbia comprato cuscini con la convinzione di vederti arrivare, come quando sei venuto ad abbracciarmi per tornartene a casa con la pioggia, davanti ad una chiesa che non conoscevi, su una panchina nella quale ho detto al mio primo fidanzato un ti amo nascosto da 'sciamo'? per la paura di aver espresso un sentimento.

Ti ho chiamato amore una mattina, ma non perché ti sentissi nel mio cuore, ti ho chiamato amore per lo sguardo di tenerezza che avevi, come ci ho chiamato i miei bambini, le amiche, come ci ho chiamato mia mamma la scorsa estate quando le ho lasciato nel primo cassetto del comodino dell'ospedale una collana di pietre colorate scrivendole che con quel camicino verde aveva bisogno di qualcosa che le ravvivasse il viso.
Perché così so esprimere l'amore, lasciando pietre colorati in cassetti inopportuni, con lo stupore della compagna di stanza che rideva del mio gesto, senza capire che solo così sarei riuscita a starle accanto senza piangere tutte le lacrime del mondo, per la paura che non si svegliasse più, per l'ansia che quei cazzo di tubicini che le uscivano da tutto il corpo, le dovessero appartenere per sempre.

La mia mamma che non è mai stata un cuscino e che ho chiamato amore per la voglia di abbracciarmela tutta senza farle male, con delicatezza.

Così ti ho chiamato amore, senza una passione, ma con la voglia di proteggerti.

Ma la voglia di proteggersi, non basta.

Rimani a casa tua, rimango a casa mia, prima o poi ci sarà modo di fare una rivoluzione,
la tua sarà lenta e pacata, la mia, inquieta, come me.

Umanità.

C'è una frase che mi porto dentro,

'ricordati di essere umano'.

Umano.

E per chi riduce la natura umana al pari di quella animale e fugge dalla violenza per paura di sbranare, forse, è importante ricordarsi di essere umani.

Mi hanno messa in discussione, pesantemente e a nessuno piace essere messi in discussione,
così come a nessuno piace sentirsi sotto accusa.

Volendo trarre un insegnamento da tutto questo, ci ho riflettuto.

Ho smesso di essere umana?

Ho sbagliato tutto,
i conti, le relazioni, gli uomini, il taglio di capelli, il modo di pormi.

Mettiamoci in discussione e vediamo da dove ripartire.

Dopo nove ore trascorse fra i brividi della febbre, il senso del dovere ed i dubbi,
sono abbastanza sicura di non aver smesso di essere umana.

Ci sono delle regole, ci sono dei doveri, ci sono dei compiti e poi c'è una forte solitudine,
mi avevano avvisata che mi sarei sentita sola, ma ho preferito non dare credito, credere negli unicorni e in un mondo fatato nel quale ognuno si rendesse conto del fatto che ci siano dei doveri e dei ruoli e poi anche l'umanità, che li accompagna, sempre, anche quando non dovrebbe o quando non è evidente.

Mi viene da sorridere, ripensando al mio primo ed unico giorno di ferie, trascorso con le amiche di sempre accanto, con l'ansia, la paura, il timore, la sensazione di vivere l'ennesimo fallimento,
la sensazione di abbandono, la mancanza dei miei genitori accanto, la voglia di gioire e la convinzione che sia inutile, perché ormai, ciò che sono è stato, ciò che non ho fatto, anche e tornare indietro non è più possibile.

Il telefono acceso, i genitori che chiamano, gli allievi davanti al portone chiuso, gli interessati, i messaggini fuori luogo, non ho avuto un attimo per poter tirare un sospiro di sollievo.

E ieri sera mi sono sentita dire che faccio il minimo indispensabile ed è palese che non mi interessi più nulla.

Ed è solo l'ennesima critica che arriva, precisa, mirata, a farmi sentire così fortemente inadeguata.

Non dovrei avere potere decisionale perché le mie decisioni non risentono di una cultura mirata, preparata, non sono Lui, Lui che magicamente riusciva a fare ed essere tutto.

Sono vista che un ingranaggio di un sistema marcio e brutale che schiavizza e impone.

Sono davvero questo?

Quando ho smesso di entrare in empatia con il prossimo ed ho iniziato ad essere distaccata?

Quando ho iniziato ad essere come quel tipo con il quale sono uscita ultimamente, che parlava di numeri ed obiettivi e di aziendalismo ed economia, ma non rivolgeva parola ai bambini?

Sono tornata a casa con un disegno del mio cane firmato da una bimba che abita in un'altra regione e che il mio cane, non lo vedrà mai. E mi sono chiesta come abbiano fatto a scordarsi di alzare la testa dallo schermo per sorridere ad una bambina che attende i suoi genitori dopo una giornata frenetica, senza fine, senza averli visti.

Sono diventata anche io così?

Non ho mai pensato di lavorare con numeri, ma con persone.
E forse ho anche richiesto troppo a queste persone:
pensavo che avrebbero 'capito'.

Ma giusto due giorni fa, durante una chiamata alle undici di sera, dopo il freddo, la pioggia, il tentativo di fare la cosa giusta, ho ricordato alla mia versione adolescente, che non possiamo aspettarci che gli altri ci 'capiscano' solo perché ci 'conoscono'.

Allora perché io me lo aspetto ancora?


Le mie migliori amiche mi hanno sempre detto che da fuori sembro altro,
che  si arrabbiano quando il mondo mi sceglie come riferimento espiatorio, perché non mi giro spiegando che laddove vedono rigidità o estrema frivolezza, c'è un motivo.

Le mie migliori amiche, le uniche che ho voluto accanto quando forse ci sarebbe dovuto essere altro, mi hanno sempre capita, senza bisogno dei perché.

Ed a loro rispondo che non mi interessa, che se mi conosci anche solo un po', non hai bisogno di spiegazioni, di motivi, di sapere che la mia vita familiare, amorosa, personale, lavorativa, è un casino, non hai bisogno di sapere che io stia soffrendo in maniera assurda, che mi senta solissima, che senta tutto il peso degli abbracci che non ho mai ricevuto e di quelli che non ho imparato a chiedere, che viva un fallimento continuo e perpetuo che non termina mai, neppure quando chiudo un cerchio, ho un successo. Rispondo che se vuoi sfogarti in me perché leggi in me il menefreghismo e la cattiveria, devi farlo, spaccando irreparabilmente il nostro rapporto, per sempre.

Perché anche se la domenica notte do splendidi consigli, non riesco a smettere di pensare che se entri nel mio mondo, non puoi pensare che io voglia davvero ferirti o sminuirti o farti del male.
Perché non lo farei mai con volontà e dedizione,
perché ricevere il dolore è bruttissimo e qualsiasi cosa accada, non voglio fare del male a nessuno, mai.

E se sei entrato in contatto con la mia anima e vuoi pensarmi capace di atti di volontario sadismo, non ci sarai più per me, posso ascoltare le tue opinioni, elaborarle, capire dove appaio meschina e come ho imposto malamente me stessa, ma non posso proprio più considerarti una 'mia persona'.

Se mi credi capace di tutto questo orrore, non so perdonarti.

Perché viviamo le cose per come siamo e non per come sono, quasi sempre.

Tentando di rimanere umana.

lunedì 18 dicembre 2017

Follie.

Che tanto quello che ho provato su quel taxi nel traffico, con le luci di Natale e il buio attorno, lo so solo io.
Non credevo sarei stata più in grado di perdere la testa.
L'ho persa.

Per una notte e mezzo, sia chiaro.

Poi l'ho ripresa e sono tornata quella di sempre.

Capisco che la mia indipendenza da te, ti abbia spaventato.

Ogni tanto spaventa anche me.

Ma io una scuola di musica dentro alla pancia l'ho avuta ed è stato proprio bello.

Grazie a te, che mi hai chiamata fin dal primo giorno 'ragazza solitaria' e forse sapevi, prima ancora di poter sapere, che nella mia solitudine, uno spazio per te forse, non ci sarebbe poi magari stato mai.

Paghi il peso di una relazione finita caro mio,
di un uomo che non mi ha lasciata distrutta, ma piena di vita.

E laddove ci sono macerie, è facile ricostruire,
dove ci sono muri portanti, o ti appoggi o te ne vai.

Non ho costruito muri con il tuo nome
e mi dispiace dirlo, ma le tue mani non ne sarebbero in grado.

Però,
grazie,
per quello che ho sentito,
ancora,
di nuovo.

E non sono follie, sono boccate di vita.

Ma uno come te, questo, non lo potrà capire mai.