sabato 24 giugno 2017

Megliotagliarsiun braccio

Ho appena fatto la figura di merda del secolo.
E non vorrei averla fatta, ma è così.

Non so cosa mi sia saltato in mente nel momento in cui ti ho scritto.
Ci speravo.

Non credevo fossi l'alternativa sbagliata.

Ma tant'è...


...che enorme figura di merda però.

I'm the sun.

Dodici anni e tredici stagioni di Grey's Anatomy mi hanno insegnato una sola cosa:
quando la tua vita è una merda, l'uomo che ami è morto oppure inseguito da un leone oppure sposato oppure in coma, la tua migliore amica è a km di distanza da te e il tuo frigo è vuoto, come sempre, l'unica cosa che possa darti sollievo è la Tequila.
Proprio per questo questa sera ho una bottiglia, questo blog ed ho appena finito di urlare alla guida della mia auto, in una strada deserta, cantando 'i'm the sun'.

Uno scheletro che chiede perdono in ginocchio, ecco come mi sento , do la sol, so la si, do la sol.

Due giorni di La Femme Piège.

Avrei voluto comporli io, i suoi pezzi, che mi arrivano dritti allo stomaco (o forse è la laringe?) senza chiedermi permesso, come se i violini ed il pianoforte fossero corde vocali che pronunciano le parole giuste al momento giusto, anche se il momento giusto è sempre quello sbagliato.

Non minimizzare ti prego e non sorridere di quello che provo e quello che sento e soprattutto, non ridere di quello che provo a dirti di sentire, perché anche se il tuo ego si eccita, il mio, si strugge.

Io, i momenti sbagliati e soprattutto, le persone sbagliate.
Che credevo giuste ed invece molto probabilmente, sono giuste, per un'altra,

Questo è un Messico senza nuvole ed io sono stanca di farti tenerezza. Tequila.

Senza limone, perché il limone è quello che crea danni e soprattutto, non ne ho in casa.

Potrei chiedere alla mia vicina polacca, con la quale ho parlato due giorni fa per la prima volta, per percorrere cento metri, un quarto d'ora, colpa del ginocchio, il suo, e dell'orecchio, il mio.

Mi sono sentita dentro La Porta, cane Viola compreso.

Dice che non mi sente mai, per forza, non ci sono mai.
Poi ha aperto di corsa la porta, è entrata e se l'è tirata alle spalle.

Lo scorso anno, in questo periodo, leggevo la Szabò e Oz e ricevevo le chiavi della scuola per la prima volta, gioendo.
Come mi mancano gli inizi.

La poetessa della quale ho declamato poesie metteva virgole a caso.
Anche io?
Ho il dubbio.
Non perché non conosca la norma, ma perché vivo l'ansia di non porre abbastanza pause fra un periodo e l'altro.
Lo faccio, spesso.
Colpa della mia paura e del mio problema con il pensiero lungo.
Sempre troppo lungo.

Domani mattina penserò di aver ingoiato il verme sul fondo della bottiglia, che ovviamente, non c'è.

Voglio scrivere uno spettacolo teatrale. Ne ho bisogno. Qualcosa di nuovo o forse di vecchio o qualcosa che sappia di me, ma non troppo.

Lo chiameremo 'Virgola' come la compagna di università che mi chiamava SanCrispino.

Oppure no, non lo so.

I'm the sun..



giovedì 22 giugno 2017

Ukulele

Ricordami così, con questa camicia azzurra, i capelli mossi e completamente struccata.
Ricordami così che oggi dopo tanto tempo, guardandomi allo specchio, mi sono vista IO.
Ricordami così e se proprio non riesci a farlo, non mi ricordare, che tanto è uguale.

Oggi l'immagine riflessa nello specchio non era un'altra, non c'era traccia di colore che distogliesse lo sguardo dalle venature della mia pelle.
Il contorno occhi scuro, le gote rosa, la pelle ancora e sempre bianca.
I capelli bianchi che spuntano dalla radice e vorticosamente ricadono sugli altri, ormai lunghi, oltre l'indomabile.
Questa camicia azzurra lasciata aperta ed i jeans che non indosso mai perché mi fasciano le gambe ed i fianchi, segni di una corporeità che ho combattuto per anni, annichilendo.

Poche volte nella mia vita mi sono sentita bella come oggi e voglio lasciare a me stessa , e a te, il ricordo di questo momento.

Le scarpe bassissime, scomode, ma basse.
Il viso pulito.

Ho sempre desiderato un uomo che mi preferisse al naturale, con gli occhi spiegazzati e le ciglia che sono davvero lunghe anche senza rimmel.
La bocca rosa e non rossa,  il viso arrossato ed il collo segnato da venature verdi.

Ho sempre avuto accanto uomini che 'truccati, è meglio', ma la libertà di non pitturarmi è splendida, soprattutto quando mi da modo di guardarmi e riconoscermi.

Certo, io amo dipingermi, amo il rosso, il nero, i colpi di pennello sugli zigomi, la righe sottili sulla palpebra, ma solo e quando io ho voglia di dipingermi sul volto qualcuno che non sono o sono, in quel momento.

Oggi faccia a faccia con me stessa, mi sono ritrovata bella.

Poco importa se fra qualche giorno invecchierò, poco importa se gli incontri che vivo sono di quantità e non di qualità, poco importa se ho il terrore di non provare mai più per nessuno quello che ho provato per F.

Per una volta mi piaccio e non mi piaccio solo per l'immagine riflessa, no, mi piace come la rifletto.
Perché ho scoperto che il COME nella mia vita cambia tutto e allora sono avvero felice di riflettermi sicura, ma non tracotante, leggermente arrogante, ma non sprezzante, dolce, ma non docile, magra, ma non secca, sognatrice, ma non troppo.

Non mi dispiace la persona che sono ed è forse la terza volta in cui mi sento così.

Sorprendente.

Quasi come il fatto che oggi, struccata e con questa camicia azzurra, io abbia detto addio a tutte le persone sbagliate che ho scelto di frequentare per sentirmi meno in colpa, per affliggermi un peso senza il quale mi sembra inopportuno vivere.

Ecco, oggi ho mandato in culo questo bisogno di appesantirmi e subito dopo mi sono comprata un ukulele.
Azzurro.

E poi ne ho comprato anche uno da lasciare a scuola, non sia mai che trovi qualcuno che abbia bisogno di un ukulele rosa per sentirsi meglio ed abbandonare le vecchie abitudini.

mercoledì 21 giugno 2017

Pellicole emotive.

Si, probabilmente continuerò tutta la vita a farmi dei bellissimi e lunghissimi film mentali.
Me lo hai sempre detto anche tu.
Ecco, allora, sai cosa sto guardando adesso?

Sto riguardando al rallentatore il preciso istante in cui fai fatica ad aprire la porta perchè il pavimento è sollevato e allora ti spaventi del rumore.
Ed io rido.

Perchè in questo film, tu arrivi, suoni, io apro, tu litighi col porta e senza dirmi nulla te ne vai.

In questi tre minuti di pellicola emotiva sono racchiusi tutti i non dialoghi che non ci sono mai appartenuti.

Troppe parole, le mie.
Ti ho innondato ed affogato.

Allora facciamo così:

ti apro io, ma tu siediti e parla con me, in totale silenzio.

Corridoi.

Un caffè freddo e troppe sigarette, questa siepe che cresce a dismisura.
Lo spettacolo di ieri sera è andato bene, al di là di ogni mia aspettativa.
Ironico come io riesca ancora ad avere aspettative nonostante tutte le delusioni e le improvvise virate alle quali sono stata sottoposta, ma oggi non sono nell'angolo a destra, oggi mi sento a sinistra ed allora mi piace pensare di non essere sottoposta agli eventi.
Oggi sono arrivata presto, prima del mio appuntamento telematico e mi chiedo come sia possibile sentire ancora il bisogno e la voglia di essere qui nonostante il dolore che provo.
Eppure, eccomi qui.
Sistemo i cassetti, pulisco le stanze, impilo i fogli e getto via tutti i miei post it.
Ne ho tantissimi, credo sia una dipenza la mia, ma amo quei foglietti colorati che mi ricordano ciò che devo o dovrei fare, da settembre ad oggi ho scritto centinaia di post it: la scrittura veloce, altre volte lenta, sempre però impregnata di ansia da prestazione.
Oggi sono sola e rivivo il piacevole dolore che ho deciso di assaporare lentamente, giorno dopo giorno, fino alla chiusura definitiva o parziale che sia.

Mi piacerebbe una scuola aperta in estate, con corsi mirati al ripasso, corsi integrativi di storia della musica, prove di un'orchestra che non c'è, attività legate a tutte le forme di arte possibili.
Mi piacerebbe alzare lo sguardo e vedere quindici tavolini riempiti di diverse forme di attesa:
il pranzo, i compiti, il ripasso, le prove, il gioco, i messaggini, la scrittura.

Non è la mia vita e probabilmente non sarò mai inclusa in un progetto che prevede conoscenze ed esperienze che so di non avere, eppure, mi piacerebbe ancora sognare.

Un posto simile a questo e diverso.
Le lezioni al mattino, i bambini con le magliette dalle maniche corte, le entrate e le uscite continue, una sala di danza, una di teatro, una caffettiera. La caffettiera in realtà la vorrei per me, più che per gli altri.

Mi piacerebbe il colore, la magia, la musica continua, sogno i volti conosciuti alle pareti e una sala lettura/studio.

Una comune insomma, come sempre.
Mai nella vita ho imparato a distinguere il dovere dal piacere e ogni volta che il dovere mi pesava, ho imparato a ritagliarmi uno spazio di piacere.

Non è la mia vita, ma vorrei che la fosse.

Vorrei girarmi e dover salutare sei genitori e fare ricevute, vendere libri, sorridere, pulire le lavagne, sentire qualcuno correre da un'aula all'altra.

Che strana forma di perversione, il mio continuo attaccamento emotivo.

Non riesco a farlo con gli uomini, lo faccio con tutto il resto, naturalmente ed irrefrenabilmente.

Ieri mi sono venuti a trovare.
A fare delle fotocopie.
Un momento bellissimo.
Qualcuno ha detto 'sembra di essere a settembre, vi ricordate?'.
L'ho pensato anche io ed è stato un momento bellissimo.

Comunque vada, avere accanto delle presenze simili, è una gioia.
Mi sono sentita meno sola, più felice, la depressione per un'ora è sparita ed io sentivo che nonostante l'allontanamento, non si sarebbero davvero davvero allontanati.
Bello.

Non ho detto nulla, come sempre. Come glielo spieghi a due persone che il loro passaggio ti cambia la giornata?
Che fumare una sigaretta insieme ascoltando i racconti pieni di battute mentre guardo i loro occhi pieni di gioia, segna il cambiamento della mia giornata?
Beh, così immagino, dicendolo.
Ma dirlo ad alta voce, mi fa sentire ancora più triste e depressa.
Non ho quasi nulla che mi faccia sentire meno sola.

In estate dovrei avere una vita sociale, dovrei pensare a come e cosa fare, truccarmi la sera, uscire al mattino ed invece studio e sogno una scuola estiva.

Sono così patetica.

Sto scrivendo un nuovo spettacolo.
Vorrei chiedere a qualcuno se ha voglia di lavorare alle musiche, ma ho un po' di timore, ho già chiesto così tanto e così tanto a lungo...

Ieri sera qualcuno mi ha detto di continuare a scrivere perchè sono brava.
Sorrido, non la sono.
Vorrei.
Ma non è così.

Come sono finita così?

Scuola, lavoro, teatro e casa.
E sto bene.
E vorrei solo più scuola, lavoro, teatro e casa.

Mi sono innamorata di una vita che sostanzialmente è socialmente inacettabile.
E mi rende anche parecchio felice, per la maggior parte del tempo.

Poi ci sono gli attimi in cui mi chiedo dove sia finita la mia vecchia vita:
amici ovunque, amici a non finire, chiamate continue, messaggini tutto il giorno, cene, viaggi, caffè, passaggi in auto, sorrisi, incastri, contrasti, bicchieri di vino, bottiglie di birra messe in fila, cibo e giornate trascorse in cucina, trenta persone a cena, i giochi da tavolo, le risate, la condivisione continua.
Ogni sera un appuntamento, ogni fine settimana, una meta.
Non ero mai sola, mai.

Non ho scritto in questo spazio per anni, perchè ero talmente piena di vita sociale, da non avere il tempo di mettere in fila dieci parole scorrette.

Dov'è finita quella vita?
Dove sono finite quelle persone?
Sarei ancora capace?

Di viverla, intendo.

Fine giugno, si conclude l'anno scolastico e si conclude un altro anno per me, celebrato in silenzio.

Niente feste, niente cibo, niente amici, niente di niente, il silenzio.
Solo che ormai, solo questo silenzio mi sembra sincero.

I volti, i regali, le torte, le canzoni, le foto...le parole...appartengono ad una vita che so di aver vissuto, ma non ricordo.
Mi sembra di essere stata spettatrice e non attrice della mia vita.

Avevo tutto e mi sentivo costantemente vuota.
Ora non ho quasi più nulla e devo camminare piano per non traboccare, perdere l'equilibrio e riversare tutta questa vita a terra, con lividi che esaltano la lentezza.

Dove sono le amiche quotidiane che dicevano che ci sarebbero state sempre?
E le grandi compagnie?

Quantità e non qualità.

E ad oggi, non mi manca veramente più nessuno.

Se non quelli che correvano veloci in questi corridoi.

martedì 20 giugno 2017

Compiti di teatro.



Il suo braccio accanto al mio, il leggero strofinio di una pelle che conosco centimetro per centimetro, provo ad occhi chiusi a ricostruire la mappa dei suoi nei, ma mi fermo. Sono assalito dalla consapevolezza che sia giunto il momento di parlarle e dirle tutto. Negli ultimi mesi ero qui e non c’ero già più, da molto. Alle sue domande ho sempre risposto cambiando argomento e dando la colpa al tempo, al lavoro, alla stanchezza, agli impegni, ci ha voluto credere. Dorme ancora e non sa che oggi sarà l’ultima mattina che si sveglierà convinta di avermi accanto.
Siamo al mare, dove la portavo sempre a guardare il tramonto, mi sono fatto coraggio ed ho deciso di portarla qui. Parla, parla tantissimo. Amavo le sue parole, desideravo la sua voce e mi sono lasciato cullare dall’incastro perfetto di terminologie desuete fino al punto di focalizzarmi sulla sua gestualità ritmica ed incosapevole. Oggi, non riesco a sopportare le sue mani, quelle che volano in aria senza fermarsi mai. L’ha fermata sulla mia spalla, proprio ora ed io non riesco a non irrigidirmi. Sto cercando di non guardarla, cerco di focalizzarmi su un punto davanti a me dove il mare è più profondo ed il blu assomiglia a quello del cielo in tempesta. Mi impongo di non voltarmi, come Orfeo.
-          Ricordi? Quella volta che sei venuto a prendermi al lavoro ed abbiamo fatto il bagno in mare, proprio qui vicino, non avevamo gli asciugamani e tu mi ha detto che non importava. Che ‘io ero l’unica acqua in grado di bagnarti davvero’.
-          Non ricordo.
Mento. Getta di colpo un braccio sulle sue gambe, delusa ancora una volta dalla mia risposta. So cosa vorrebbe sentirsi dire, ma non posso dirlo. So cosa si aspetta da me, ma questa non potrò andare contro me stesso per vederla sorridere, ora che il suo sorriso non è più causa del mio.
Ricordo perfettamente di essere uscito di corsa dal lavoro lasciando fogli sulla scrivania e rimandando le telefonate, era bellissima mentre usciva dall’acqua e in un istante ho davvero pensato che lei fosse l’unica acqua in grado di bagnarmi. In un istante, per quell’istante.
Un attimo dopo, era già tutto finito.
-          Ma come fai a non ricordarlo? Abbiamo avuto il raffreddore per settimane! Avevi la voce rocca ed eri insopportabile, a letto, per un raffreddore…
-          Stavo male.
-          Si vabbè, stavi male, anche io stavo male eppure mi prendevo cura di te.

Un’altra delle sue critiche, non le sopporto più. Volta la testa verso di me, cerca un contatto fisico, mi sfiora il volto, provo ribrezzo. Mi sento continuamente sminuito da questo suo modo di fare. Ecco, ora parla della sera in cui ha camminato scalza lungo la strada del ritorno mentre suo padre chiamava e noi avevamo fatto le sei del mattino. Una bella sera, mi piacevano le sue complicazioni e quella visione buffa del mondo che alla lunga porta allo sfinimento . Unicorni e colore, sono una ventata di novità a trent’anni, ma ora, sono solo limiti e frustrazione.
Ora mi giro e le dico tutto.
-          Perché non parli? Ti ricordi quando parlavamo per ore?
-          Si
-          E poi? Non credi che io sia in grado di ascoltare i tuoi discorsi?
-          Ti annoi  e basta. Ho sbagliato tutto con te.
-          Non è vero. Certo, hai fatto degli errori, ma guardaci!Stiamo insieme da nove anni, chi lo avrebbe mai detto? Siamo una vera coppia seria, io ti stiro i vestiti e  finalmente ho trovato lavoro.
-          Non sono felice.
-          Neppure io, neppure io, mi mancano i nostri discorsi, non ridi più insieme a me, come mai?
-          Sei sempre a farmi sensi di colpa.
Allontano la spalla dal suo volto, ma lei si avvicina, non riesco a sopportare il peso della sua presenza. Mi trascina verso il fondo.

-          Cosa ti ho fatto? Perché dici così? Sono così sbagliata?Mi ami ancora?
Mi alzo, non riesco a sentire quella voce così disperata da credere in una relazione nella quale ormai non ridiamo più da mesi. Ho un’altra, ora glielo dico, ora le dico che il suo unico sbaglio è credermi migliore di quello che sono ed avermi sempre voluto esattamente a come lei desiderava che fossi.
-          Mi rispondi?
La sua voce ormai è alta, quando si crepa il suo sorriso ingenuo esce fuori tutta la sua fragilità in uno stridore che è insopportabile, fra qualche minuto cambierà e diventerà profonda, austera e urlante.
Non le rispondo, mi soffermo sul mio passo e gioco con le chiavi in tasca. Cammino.
Si alza di colpo, appoggia veloce il suo braccio sotto al mio e mi serra in un semi abbraccio che ha la stessa valenza della catena di un suicida che decide di gettarsi in mare.
Questo è il momento: se le sciolgo le braccia, lei mi tratterrà, se la ricambio in parte, non ne uscirò più, lascio a lei il compito di staccarsi da sola, quando non riuscirà più a trattenermi.
Cammino più veloce. I muscoli del mio braccio sono forti ed i tendini tesi, sento la differenza fra la mia pelle tesa ed il mio corpo proteso in avanti ed il suo, morbido, incredulo, persino il suo corpo è arrendevole. Potrei girarmi di colpo e darle uno schiaffo e lei rimarrebbe comunque ancorata a me, incredula, arrabbiata forse, ma incapace di andare via.
Aumento il passo, non riesce a starmi dietro.
-          Mi vuoi parlare?Rispondimi perché fai così? Vieni qui. Piantala. Non fare lo stronzo. Vieni qui e parlami.
SI getta a terra, si lascia cadere, le gambe piegate da un lato, cerca nella borsa una sigaretta. Trema. Mentre fuma le sue mani sembrano quelle di una vecchia, tremanti e sanguinanti. Ogni volta che qualcosa non rispetta i suoi piani, si mangia le mani. Piange forte e cerca di attirare la mia attenzione, ma non cedo, rimango fedele agli ordini di Ade: per avere finalmente la mia Euridice non devo voltarmi e così faccio.
Saprei descrivere ogni ruga del suo volto e gli occhi a palla che le vengono quando li strofina volutamente per crearsi un volto disperato che crei dispiacere e pena. Me la suscitava quando era ancora fragile, quando pensavo che le sue lacrime non fossero un modo per attirare l’attenzione ed avevo voglia di preoccuparmi.
Cammino e gioco con le chiavi nella mia tasca destra, sento il peso del corpo che si sposta ed improvvisamente non inarco più la schiena, ondeggio, il mio passo è ringiovanito.
Urla qualcosa di tragico, ma non si butterà in mare. No.
-          Si, eri la sola acqua in grado di bagnarmi, ma ora io tornerò alla mia vita asciutta e tu ti inventerai pioggia per un altro.
Mi infama con una voce a metà fra lo strozzato e il posseduto.
Che cosa si poteva aspettare da uno che ha chiamato ‘uomo degli abissi’ subito dopo avermi conosciuto?

domenica 18 giugno 2017

Compleanno.

La regina degli egocentrici non può che amare con tutta sé stessa il giorno adibito ad una celebrazione del sé.

Così almeno è stato da sempre.

Ad oggi, che sia causa il tempo, il periodo, l'umoraccio, vorrei saltare a piedi pari il giorno del mio compleanno, trascorrendolo a letto , da sola, a dormire.

Mi sale l'ansia nei confronti del futuro e la paura in rapporto alla me stessa di oggi.

Forse, sono solo consapevole che non ci sia nessuno ad amarmi.

Non parlo di un uomo, no, anzi, ho proibito a chiunque sia nella mia vita di fare qualsiasi tipo di gesto. Non sarebbe appropriato. Non sarebbe adeguato e non sarebbe gradito.

Vorrei forse avere un forte motivo per cui piangere, crogiolarmi nel dolore, sentirmi talmente ignorata da soffrire e trascorrere la giornata a piangere.

In quel caso avrei davvero un grande motivo per sentirmi triste, insomma, un altro alibi.

Avrei preferito arrivare alla mia età senza il disperato bisogno di alibi che invece ho.

Sono preoccupata per il giorno del mio compleanno, sarà triste, ma forse non abbastanza.

Per circa dieci anni ho chiesto a qualcuno un regalo, un regalo da dieci euro, che mi sarebbe piaciuto, per ogni festa, chiedevo sempre il solito punto luce. Piccolo, scemo, luminoso. Mi sarebbe piaciuto.
Per dieci anni, ho ricevuto regali di ogni genere, ma nessuno mi ha dato retta.

Io non ricevo mai libri, perché tutti pensano che io abbia letto tutto e quindi non sanno cosa regalarmi e non ricevo un punto luce che non mi rappresenta perché 'è troppo fine per te, tu sei una da colore e creatività'.

Certo, continuiamoci a far dire da altri ciò che siamo, è un bel vivere.

Sono preoccupata per domani e per la mia solitudine.

Devo imparare a gestire anche quella inaspettata, perché credo che anche questo voglia dire crescere.
E così, va già meglio.

Occhi da incrociare.

Col culo per terra e il morale alle stelle,
come l'altro giorno, sdraiata su un tappeto con tanto sonno negli occhi a ridere a crepapelle.

Un momento di cuore da tenermi stretto nei momenti bui.

Quando mi impanico e la mia amica che si è scoperta figlia quando era già madre litiga con i clienti in tre lingue e nel mentre mi consola.

Seduta a terra, con le gambe incrociate sulle sedie e l'incapacità di mantenere un'apparenza che davvero non mi appartiene neppure quando io appartengo a lei.


Mentre ero sdraiata a ridere, mi è venuto in mente un ricordo.

Arezzo 2014, una giornata di dicembre, molto triste per una delle mie più care amiche.

Inverno, di De Andrè.


Ed io che ero immersa dentro quegli affreschi così belli e il Vasari ed il museo archeologico.

Ed il mio cappotto viola, il vino, i muri.

Pensavo a te, in ogni angolo di vita e pensavo a quando e come tu fossi passato di lì.
Senza conoscermi.
Dopo avermi conosciuta.
Magari pensandomi.

Un messaggio, l'unico che mi sia mai concessa.
Ero lì, senza te, per te.
E mi bastava.


Ho sempre preteso tantissimo dalle persone con le quali ho condiviso una storia, esageratamente troppo.
Senza essere mai riuscita a pretendere rispetto e sincerità.

E poi, poi tu.
Che con te io non ho mai condiviso nulla che non fosse al di fuori di ogni definizione, eppure, non ho mai vissuto una sola volta una tua mancanza. Assenze, continue e ripetute, ma non mancanze.

Il modo in cui mi guardi mentre parli, quello in cui mi guardi mentre entrambi parliamo con altri, la ricerca di un contatto visivo, non mi hanno mai fatto vivere un distacco anche nel momento dell'addio.

Continuerai a cercare i miei occhi?
Continuerò a cercare i tuoi.
Smetterò di cercarci dentro sentimento e risposte.
Inizierò a guardarli vedendo solo te.
Sarà comunque un bell'incontro, come sempre.

Pace.

Si litiga solo con chi si vuole fare pace.

Così, in una delle giornate più tristi di sempre, l'orgoglio diviene un particolare ignorabile.

Venerdì mi sono ritrovata sola, completamente sola, per la prima volta:
le stanze che per nove mesi erano piene di sorrisi, persone, suoni, rumori, urla, grida, passi e respiri, completamente vuote.

Nessuno da aspettare, nessuno con cui parlare, nessuno da aiutare.

Un silenzio perpetuo.

Ho riordinato le stanze, ho svolto il mio lavoro, ho impilato fogli e diviso documenti dentro a cartelline etichettate.

Mi sono sentita sola.

Mi sono sentita crollare.

Ho sentito tutta la tensione delle ultime settimane, scivolare via, velocissima e lasciarmi senza forze, completamente vuota.

Un malumore sfociato in sbalzi di umore e depressione.

Era davvero tanto tempo che non mi sentivo così male, nulla a che vedere con la solita ansia, ho attraversato il confine del panico, quello di cui parlavo qualche giorno fa.

Il panico.
E come cercare di tenerlo a distanza di sicurezza.

Inizialmente ho fatto mente locale ed allora ho voluto dare la colpa a una serie di fattori, perché il panico non si scatena mai così, per un solo motivo.
Poi ho fatto una lista delle motivazioni:

1- stanchezza fisica
2- mancanza di sonno
3- mancanza di cibo
4- ormoni
5- tantissimi ormoni
6- i cambiamenti
7- la paura dei cambiamenti
8- l'incapacità di gestire i cambiamenti
9- l'aver trovato nella scuola una scusa per non affrontare gli scalini personali che dovrei scegliere se salire o scendere.
10- la paura nei confronti di settembre
11- la paura che settembre non ci sia
12- la paura di non aver fatto abbastanza
13- l'ansia di sentirmi sola davvero per la prima volta in un posto di lavoro emblema della collettività
14- la paura di essere sola
15- il terrore di non riuscire a stare sola proprio in un momento in cui devo essere sola e devo andare a lavorare
16- l'ansia di aver bisogno di chiedere a qualcuno di venire a farmi compagnia
17- la tristezza dovuta alla fine
18- la conclusione di un anno bellissimo da prendere come parametro per quelli a venire.
19- rendersi conto di non aver concluso nulla
20- il mio compleanno

Mi sono fumata una sigaretta, ho chiuso tutte le aule a chiave, ho impilato i panchetti dei bambini, ordinato i topolini...
...ho sofferto profondamente per tutto il santo giorno.

La conclusione dell'anno è stata splendida e davvero, non sarei riuscita ad immaginare un anno migliore, eppure, sono in crisi totale.

Mentre camminavo, mi è venuto in mente il primo periodo di lavoro:
gente che passava e veniva, ero legittimata ad essere incapace, c'era sempre qualcuno pronto a chiacchierare ed amici ed amiche curiosi di vedere la nuova realtà che mi spaventava ed appassionava.
Gli insegnanti passavano molte più ore del dovuto, qualcuno è venuto semplicemente a conoscermi.

Il periodo delle telefonate continue e della confusione su nomi che non avevano volti e volti che mi avrebbero dovuto ricordare qualcosa che non ricordavo.

Le finestre sempre aperte con la luce del sole.
Le continue iscrizioni e le informazioni e le conoscenze.

La sera in cui sono corsa via veloce per andare a registrare le letture.

I saluti, le presentazioni e la sensazione del completo divenire degli eventi.

Le corse al Bricco per comprare il primo martello della mia vita ed i chiodi.
Mio nonno e la sua precisione, mio padre che è venuto ad aiutarmi.
I quadri appesi.

L'ansia della pitturazione ed il blu che non è il blu adatto.
La prima festività, trascorsa lì.

La festa del 31 ottobre con le caramelle e le zucche, mi sembra una cosa così vicina, ricordo di essere stata al supermercato ed aver comprato vagonate di dolcini. I cappelli da streghe.

L'odio verso la siepe.

I martedì vuoti, che colmavo con moduli e precisione.
Il primo freddo e le giacche appese ovunque.

L'angolo dove abbiamo messo l'albero di Natale con tutti i bigliettini contenenti i desideri dei bambini, bigliettini disegnati e decorati durante un mio sabato sera, in una casa che non era ancora la mia.

L'organizzazione di una giornata di storia della musica.

Lo scambio dei regali, io che corro per Sarzana con un enorme pacco pieno di cibo che poi in realtà si è rivelato veleno con un senso di colpa assurdo.
La lampada che ho nell'entrata, la penna che ho usato per firmare i primi documenti da adulta, il vino.

Le feste in cui mi sono mancate le regolarità.

Il ritorno, l'affanno, i mille problemi che mi fanno sentire davvero attiva ed i bambini che raccontano le loro feste.

Il carnevale.

Il primo caldo e le giacche dimenticate e poi recuperate.

Le mille bacchette perse e ritrovate.

I libri che nessuno trova mai.

Le liti con il pos.

Ancora l'odio per la siepe.

I sabati passati a riordinare la scrivania.

Il pianoforte che mi piaceva, i violini impilati, il termosifone con la manopola in alto, la serranda sempre rotta.

Il martedì che ha iniziato a prendere suono.

Le feste, i saggi, i genitori riuniti, i primi discorsi imbarazzanti, le liste attaccate alle porte, i bambini in ansia, il vociare continuo.

La gioia nell'aver trovato una sala per il saggio finale, i genitori che nel corso del tempo sono diventati familiari, appuntamenti settimanali.

Il pullman, io che mi arrabbio, le mie sfuriate, le chiamate al mattino.

I moduli da firmare, da firmare, da firmare.

Le lotte con lo scanner.
Le lotte con la fotocopiatrice.

La scatola di carta che mi ha regalato mio padre.

Spostare i mobili.

Le persone.

Ecco, mi è mancato tutto questo.

A settembre sarà tutto diverso.
E il cambiamento mi manda in ansia, come la solitudine, come il rendermi conto davvero che difficilmente potrà essere un anno migliore di quello trascorso.

Ho avuto un crollo.
Avrei voluto chiamare qualcuno e non sentirmi sola, avrei voluto vedere un viso attorno, una voce, uno scambio, ma è normale che non ci sia stato, devo abituarmici.

Solo un fatto di abitudine.

Per me quelle stanze, erano casa ed erano famiglia.

Mi sono buttata totalmente in quella casa ed in quella famiglia, senza consapevolezza, come sempre.
Mi ci sono nascosta ed è stato un bene, ma forse poi, è stato un male.

Un alibi.
Si, è stato il mio alibi ogni volta che non volevo uscire, non volevo pensare alla mia vita sociale e sentimentale.
Un bellissimo alibi.
Lo sarebbe stato per tutti.
Era impossibile non innamorarsi ed io l'ho fatto perdutamente.

La mia nuova, grande, storia d'amore.
Non ho amato qualcuno, ma qualcosa: quel posto, quelle persone, quelle anime, quelle vocine, quegli occhietti.
Tutto l'ambiente.
Sono perdutamente innamorata e come ogni volta, mi sento fottuta.

Le mezze misure mai eh?

Così, venerdì, è stato naturale alzare il telefono e in un attimo, superare tutto, chiamando la persona che avrebbe saputo calmarmi.

"-Ciao, sei ancora incazzato con me?
- Ti ho pensata molto in questi giorni, sarei passato io da scuola."

E in un attimo, il mio amico procione, era di nuovo lì, con me.
Lui che mi è stato accanto per tutta l'estate facendo il tifo per me, lui che è stato al Bricco circa trenta volte per controllare i chiodini giusti, lui che avrebbe voluto cambiare tutti i mobili con nuovi mobili ikea dai nomi improbabili, lui che arrivava a chiudermi il termosifone e a riparare la tapparella alla quale non riuscivo ad arrivare. Che mi ha montato le lampade ikea ed aiutato a cercare le lampadine online, lui che rompeva le palle con la siepe ed è stato il mio supporto ogni volta che ho avuto dubbi su me stessa, sulle mie capacità e sulla persona che sono.

'è un insieme di cose Penelope, passa tutto, sei più forte del panico'

Ed è subito pace.

Si litiga solo con chi si vuole fare pace.



Via Moravia.

Ho lasciato perdere.
Ho lasciato perdere le stanze in cui mi leggevi e mi ritrovavi esattamente come fossi.
Ho smesso perché ogni volta che scrivevo, finivo per parlare di te.
Di via Moravia, delle stazioni che fanno male al cuore, ad un letto disfatto e dei frutti di mare alle tre di notte.
E questo non importa a nessuno.
Nulla più.
Voglio lasciare credere ciò che è credibile, vuoto, battute e colpi di testa.
Lasciamo credere che non ci sia un cappello traboccante di vita da finire in un abisso scavato dalle mie stesse unghie, ormai finte, per estetica e difesa.
Sorrido, perché non posso fare altro di fronte a chi ha pretesa di aver capito tutto nella vita o aver scoperto l'amore vero o l'assunzione del compito preciso di etichettare le persone. Non puoi essere sicuro di tutte queste cose e sapere le risposte giuste, le definizioni adatte....ma poi, esistono davvero? Le etichette intendo. E le risposte giuste.
Lascio questa presunzione e la invidio.
Mi assolverò mai?

Vero amore.

"Sono anni che ti vedo innamorarti dello stesso tipo di uomo, Ti ho vista strapparti i capelli quando l'amore che avevi ha scordato il tuo nome e il suo, piangere sogni di carta straccia, scrivere lettere che non hai spedito, allontanare i dubbi per non arrivare a certezze che non avresti sopportato, ti ho vista prendere e correre da sola al mare per dimenticare di essere stata tradita, cercare tua madre in ogni donna che non le assomigliava, per poterla immaginare diversa.

C'ero quando il fuggitivo di turno ti ha cucito addosso la sua trapunta di lusinghe e si è lasciato divertire dalle tue complicazioni, per poi abbandonarti non appena le tue complicazioni hanno smesso di essere buffe per diventare dolorose.
Ti ho vista appartenere sempre meno a te stessa nel tentativo di appartenergli, aspettare che si abbassasse la marea e tornassero i suoi occhi da un posto che tu sola conoscevi, esorcizzare il dolore andando a letto con uomini di cui non ti importava, sbucciarti le mani mentre ti aggrappavi agli scogli per non affondare.

Adesso vorrei soltanto che ti volessi il bene che ti voglio io o che volessi a te stessa il bene che vuoi a me, invece mi ritrovo ancora una volta a sperare che questo gioco al massacro non ti faccia troppo male, a sperare di vederti finalmente accanto un uomo degno della tua luce, delle tue corse a piedi nudi su quelle spiagge abitate dalla vita che non smetti di rincorrere.

"Stai tranquilla, so quello che faccio" me lo ripeti da mesi ormai, ma intanto lui è ancora sposato , e tu gli credi quando ti dice che dorme sul divano, che è innamorato pazzo della tua follia creativa, che non ha mai amato nessuna come ama te, che le cose si sistemeranno...

E lo so che sono l'ultima persona al mondo che può parlarti così, lo so che il diritto di sbagliare con la tua testa te o sei conquistato al prezzo di battaglie sanguinose col mondo che ti alitava sul collo, ma io sono stufa di vederti umiliata da gente che non ti merita e che non capisce quanto meravigliosi siano gli incanti da cui ti lasci trasportare.

So che ti ho ferita dicendoti che non è amore se un uomo ti chiede di scegliere tra te stessa e lui, però sono certa che ti devi molto più di quelli che credi di meritare e che avuto sinora, perché sei la mia amica del cuore e della mente, quella che quando mi sono arrampicata sugli ulivi citava Calvino, l'unica che può assecondare i miei capricci per poter avere nella stessa giornata scirocco e tramontana sulla pelle, la ragazza che porta sulla pelle le mappe della sua vita e che dorme circondata da quadri di Klimt.

Vorrei che capissi che non è detto che debba sempre essere tutto abisso e coltelli e tormento tra due persone, ma come faccio a dirtelo io?

So che ti ho ferita, ma non riesco a pentirmi per le parole dure che ti ho detto e non riesco a chiederti scusa, anzi vorrei che fossi tu a chiedere scusa a te stessa, perché è assurdo e ingiusto che tu faccia ancora una volta l'errore di cacciarti in questa situazione da "Buonasera, dottore", perché non c'è nulla a cui la donna che sei meriti di essere sacrificata.

Non voglio più doverti abbracciare perché lui non lo fa abbastanza, non voglio che le tue mani da scrittrice di libri e spettacoli  scrivano dell'amaro che questa storia ti lascia addosso e lo mascherino da articolo sulle abitudini notturne dei giovani.

Tanto poi lo so che domani torneremo quelli di sempre, ma oggi non voglio vederti piegata o spezzata, oggi che piangi perché non sai se e quando potrai chiamarlo, che la tua ansia di vita la guardi da lontano come se non fosse più tua, oggi che il senso vero del tuo viaggio non lo rintraccio più tra le rughe dei tuoi occhi.

Oggi voglio dirti che ti voglio il bene di sempre, che averti affidato la mia vita quella mattina di ottobre in cui tutto perdeva colore e contorno mi lega a te con nodi irrimediabilmente stressi e che il nostro vissuto lo porto inciso come un marchio sulle pareti di anima e pelle.
Ma sono costretto anche a dirti che il fatto che tu creda che sia lui quello giusto, non mi fa smettere di sperare che ne esista un altro, magari meno giusto, ma più onesto, uno che non ti vuole un po', ma ti sceglie come compagna di vita totalmente e a tempo indeterminato, uno che per vederlo non devi aspettare che la moglie non ci sia.

E non mi importa di tutte quelle storie deficienti della sfasciafamiglie perché come dicevi tu "in una coppia ci si infila solo se c'è spazio". Non mi importa dell'altra, mi importa solo di te.

Voglio solo ricordarti che non esiste al mondo niente che valga la donna che sei e che nessun motivo, neppure l'amore, è mai abbastanza valido per scegliere di tradire te stessa."

L'amore.

La fragilità dell'essere umano.

E mi chiedo perché è sempre successo che ad ogni intimità, segue un irreparabile allontanamento, perché quello che pare magico a volte svanisce  in un vuoto sentire o perché in alcuni casi agenti esterni abbiano fortemente condizionato il volersi oltre ragionevole dubbio perché poi diventano impossibili o difficili o talmente difficili da diventare impossibili.
Poi si raggiunge la serenità, questa sorta di contenitore foderato di piume , senza scosse, fatto di asciugamani tiepidi e cuscini profumati di tranquillità.

Ognuno però conosce i limiti che lo riguardano o almeno dovrebbe essere onesto da riuscire ad ammettere di averne, così quelli che sono amori difficili ed impossibili, non sono altro che limiti che decidiamo di porre alla nostra sfera intima, una somma di ragionamenti e valutazioni con cui decidiamo di fissare una sorta di priorità.

Per tanti motivi, anche non condivisibili, anche non accettabili.

Qualche volta coincidono con il giudizio degli altri.
Altre, legate al giudizio che noi stessi potremmo  razionalmente produrre.

Forse è solo più facile autogiustificarci e decidere che le storie che viviamo siano impossibili per evitare di doverci impegnare emotivamente.

Forse è solo più semplice interpretare il ruolo che ci siamo costruiti e non impegnarci davvero.