venerdì 2 giugno 2017

Tassi, procioni e dure realtà.


L'absente- Tiersen

In questo preciso momento avrei voglia di alzare il telefono e chiamare il mio migliore amico chiedendogli compagnia nell'andare a portare la plastica sul ciglio della strada.
Non posso chiamarlo però e non è un fatto di orgoglio, è sabato sera, sarà impegnato sicuramente e non avrà voglia di sentire riferimenti fra la sua situazione personale e il film 'lezioni di piano'.
Nel quale lei comunque perde le dita, il pianoforte e la voglia di pronunciare qualsiasi parola.
La pargola era antipatica come poche cose, ben le sta.

Ci ho messo una vita a diventare così superficiale, non voglio smettere adesso.

La pesantezza mi accompagna da sempre, è insita nel mio essere, che io la voglia o meno.


La Chute- Tiersen

Se mi fossi fatta i fatti miei e fossi riuscita a non dirgli ciò che sapevo e sapevano, ora egoisticamente parlando avrei ancora il mio migliore amico come accompagnatore perenne.
Mi prenderebbe in giro per la storia di Tiersen e mi chiederebbe se adesso mi sento pianista, io riderei e lui mi continuerebbe a prendere in giro.
Gli direi che ho scoperto cosa sia il minimalismo e che mi piace anche un sacco.
Lui direbbe qualcosa sul fatto che io sono tutto, tranne che minimalista ed ho sempre adorato gli eccessi.
Siamo contraddizioni, io e lui, ci vogliamo bene.

Volevamo?
Vogliamo.

Nonostante tutto, gli vorrò sempre tutto il bene che non è bastato a pensare che fosse più importante proteggerlo che averlo accanto.

Comunque questa La Chute assomiglia al 2.34 a The heart asks pleasure first di Nyman?
E mentre dico cose come queste mi manca una frase cattiva nei miei confronti, mi manca infinitamente ed eternamente.

Come i nostri abbracci lunghi, con le tue zampe da dinosauro e la faccia da procione.
Che poi, perché nel mio bosco dovrebbero esserci dei tassi?

Mi manchi.
Sei stato il mio appoggio, il mio quotidiano, il mio compagno di cazzate e serietà, se non ci fossi stato tu non so come avrei fatto.

Le amiche si devono saper mettere da parte anche quando è difficile, giusto?
Quindi stasera non chiamerò, niente scemate, abbandoniamo quel rituale da ragazzini che ci apparteneva, niente battute e niente di niente.

Io l'ho capito, sai, quando sei stato tu a proteggermi, anche da me stessa: la storia della palestra, degli uomini sbagliati e del senso del dovere che provi nei miei confronti.

Mi hai sempre trattata come se fossi piccola.
Forse è per questo che non sei riuscito ad accettare che fossi io per una volta, a proteggere te.

Quando vorrai, ci sarò.
Per sempre.
Per te. Per sempre.

Perché qualsiasi cosa possa accadere lo sai, che quando avrai bisogno, sarò qui, senza se e senza ma, per riprendere esattamente da dove ci siamo lasciati.

Mi manchi e non puoi non mancarmi, ti voglio e ti vorrò sempre bene.
Ciò non toglie che tu sia una grandissima testa di tasso che non discerne realtà e finzione.

Rimani aggrappato alle tue necessità fino a quando ne avrai bisogno, non ti giudicherò mai, l'ho fatto anche io e tu c'eri, senza avermi mai dato della debole.

Sei l'uomo migliore che conosca, ma sei una testa di procione.

Finali.

Mi tremano le vene dei polsi come tutte le volte in cui mi dimentico di mangiare o bevo troppo caffè. Tazze e bicchieri di caffè nero e senza zucchero, preferibilmente freddo.
Nulla che vedere con il caffè americano, nulla che vedere con i sessanta aromi differenti che ti diverti ad elencare quando si parla di terzi luoghi e stili di vita preformati ed acquisibili.
Io lo bevo il caffè americano, solo se non posso bere l'espresso, ma non riesco a considerarlo vero caffè: difficilmente mi adatto e proprio per questo ora sono qui con i polsi che pulsano.
Ieri sera mi ha lasciato stupore, ansia, gioia ed insoddisfazione personale, oltre che un senso di nostalgia riguardo a ciò che è, pensando a ciò che sarà.
I ragazzi sono stati meravigliosi, caotici, ma meravigliosi, dolcissimi e meravigliosi, avrei voluto abbracciarli tutti, uno per uno:
partendo da quello con i capelli a spazzola e gli occhietti furbi, passando a quello che mi parla di giochi e cuori pulsanti da strappare, poi il mio bimbino pallido e dolcissimo al quale non potevo non fare una coccola, fosse solo per lasciargli una impressione della cotta che si è preso per me, attendendo che cresca per riderne. Poi c'era il vispetto dalle mille domande continue e il prodigio che si rende conto di essere bravissimo e percula gli altri, chi ha sviluppato il pensiero astratto e mi chiede se mi spaventano i grattacieli, perchè a lui fanno paura. C'èra chi non ci sarà e mi mancherà, c'era chi è viziato e chi aspetta che i genitori voltino gli occhi per mostrarsi naturalmente immaturi e caotici, c'era il piccolo cucciolo che mi ha detto che mi vuole bene anche se gli sto antipatica perchè una volta gli ho fatto 'l'uovo' in testa, me lo ha rifatto e gli ho detto che anche io gli voglio bene ed è simpatico, anche quando tenta di non esserlo.
C'erano i grandi che si punzecchiano di continuo e fra mille battute rimangono meravigliosi, le mie ragazze stupende, che mi mancheranno tantissimo, ma che saranno sempre presenti per me, anche quando avranno quarant'anni, perchè sono indelebilelmente sulla mia pelle, con tutto quello che questo significa.
Li ho amati tutti e so che sono e rimarranno nel mio cuore senza saperlo. Non sono mai stati numeri, sono stati nomi e poi volti e poi parole e anime ed hanno segnato l'anno più intenso e bello della mia vita.
Posso dirlo?Forse risulto poco credibile, con le mie crisi, le paure, la frustrazione e le mie recenti uscite isteriche.
Qualcuno ieri sera mi ha detto che quando parto, non mi fermo e se prendo il via, vado oltre. Succede. Doveva bloccarmi e mi ha spaventata, ci è riuscito. 'Quando ti ci metti sei peggio di una pala meccanica' qualcuno mi aveva scritto in una delle poche lettere che conservo a memoria ed ogni tanto rileggo per rendermi conto di quanto sia stato in grado di capirmi, prima ancora che io mi conoscessi così bene. Chi ieri sera ha notato questo lato antipatico e pessimo della mia persona, deve essere sensibile.
Quando mi sento libera di essere una pala meccanica, significa che ho davanti qualcuno a cui voglio bene davvero, in questo caso, me ne sono davvero resa conto. C'è questa persona che mi ha cambiato la vita e neppure se ne accorge. Qualche volta ha creduto di avermi fatto del male, ma non sa con quale tempismo mi abbia inconsapevolmente salvata ed io ho tentato di spiegarglielo, ma non potrà mai davvero capire.
Come glielo spieghi a qualcuno che la fiducia e il rispetto e il sostegno e l'opportunità che mi ha dato, sempre stando un passo indietro, con discrezione e gesti misurati e calibrati, sono stati punti dai quali ripartire? Non glielo spieghi, perchè sarebbe troppo intimo, fuori luogo ed estremo.
Questo è stato l'anno più difficile e bello della mia vita e se potessi, lo vorrei iniziare di nuovo, con le paure, l'ansia, le stesse emozioni e la luce che sentivo dentro.
Non posso tornare indietro, il prossimo anno sarà tutto diverso e nuovo ed insieme all'emozione di una riconferma e della conferma dell'impegno che ho messo e l'amore che ho dato, provo una nostalgia fortissima.
Non so cosa accadrà, ma nulla sarà meglio di questo primo anno incasinatissimo che sta finendo, così come le mie energie, ma mi mancherà e rimarrà nel mio cuore, per sempre.
Ho amato tutto quello che ho vissuto ed ho amato tutti quelli che ho avuto accanto.
Sono stata fortunata, tutto questo penso di non averlo meritato e qualche volta, mentre tento di parlarne, qualcuno banalizza ed io so che è solo perchè non è in grado di capire. Missioni personali, ecco dove sbaglio, o forse, dove finalmente non erro.
Vorrei ringraziare tutti ed abbracciarli e dire ad ognuno quanto bene mi abbia fatto, sarebbe patetico, forse infantile, ma mi hanno fatta sentire amata tante volte e allora vorrei ripagarli solo un po', solo ogni tanto. Poi evito, ma mentre vi guardavo tutti, con le luci puntate, ho pensato ed augurato il meglio, a tutti, per tutti.

mercoledì 31 maggio 2017

Bruciature.

Ieri sera qualcuno mi parlava dell'ansia da pagina bianca.

Ovvio dire che io non l'abbia mai vissuto.

Forse accade solo a chi sa scrivere o abbia qualcosa da dire e allora, è normale che io non la conosca.

Conosco però, l'impotenza letteraria:
quella che subisco ogni volta che non riesco a mettere blu su rosso l'emozione che ho vissuto.
Non so scrivere e neppure trasmettere.

Ed eccomi qui a dare in pasto ai leoni il mio cuore ancora pulsante e rosso e blu e viola e viscido e scivoloso. E scavato.
Da
te.

Non è l'incavo lasciato dal vuoto, no, ma è l'incavo preventivato che non ho saputo colmare per timore, riverenza e arroganza, propria o impropria che sia.

La distanza di apparenza fra la mia sedia e la tua, l'attenzione nel cambiare marcia per non sfiorarti, il tintinnio dei miei braccialetti e la mia gonna bianca di lino che si apre sempre, mi hai guardato le gambe ed io ho visto che le fissavi, un istante, veloce, quasi a ricordarti quanto fosse inappropriato.
Immagino lo stupore, io, che tendenzialmente nascondo la pelle, non ho fatto nulla per ricompormi.

Sfrontatamente e dichiaratamente interessata al tuo sguardo su di me.

Parlavamo di testi, i tuoi, quelli che scrivi e di libri, i  miei, quelli che leggo.

Passione e dolore ed impotenza e frustrazione.
La tua mano appoggiata al finestrino, lungo la linea di gomma sottile che lascia scomparire il vetro.
Non sul sedile, non sul freno a mano, ma sulla linea di vita del finestrino.

Solo una volta hai toccato il volume della radio, non mi sentivi, mentre divagavo nel non saperti rispondere.

Qualche volta ho creduto che prendermi in giro fosse il tuo sport preferito, solo dopo ho capito che potevi prendermi in giro, perché non avrebbe mai costituito un limite fra noi.
Noi, che ci siamo sempre detti le cose più brutte, pessimiste, nere, tendenti all'autolesionismo.

Hai sempre saputo che con me lo avresti potuto fare,
ho sempre sentito di poterlo fare con te.

Qualche volta avrei dovuto ascoltarti di più, ma amo lasciarmi ascoltare da te.

Mi sembra sia passato un secolo, avrei voluto prenderti la testa ed accarezzartela mentre mi domandavi senza banalità, mentre guardavi fuori, per non guardare me.

Avrei voluto stringerti le mani, di più, più a lungo.

'Quando qualcuno mi tocca è come se mi spegnessero delle sigarette sulla pelle'.

Ho ripetuto questa ieri sera ad alta voce, ad altri.

'è un male concreto?'- mi hanno chiesto-
'si,si,si'.

Quando tu lo facevi, non bruciavo.



Bicchieri.

Avvio la lavatrice, tolgo un frammento di cenere caduto sul tavolo e mi preparo ad un'attesa dai versi pratici e non poetici.

E mi vedo da fuori, autrice, attrice e regista di un film che porta il tuo nome come titolo.
O forse, no.

Firenze, eri,
Firenze, rimani.

Come spiegarlo a mia madre che quando parte quella canzone così triste, non posso fare altro che mandare avanti? Devo averla, ma non riesco ad ascoltarla.

Così con te, devo saperti, senza averti. Perché non posso, perché non voglio e perché non è più tempo.
Ho sempre pensato che quando vuoi davvero qualcuno, i 'se' ed i 'ma', sparissero dalla vasta gamma di parole che abbiamo a disposizione.

Poi ci sei stato tu ed ora, capisco che i vocaboli sono realtà e glissano, proprio come noi, sui fatti.

Le cose sono parole, l'ho sempre detto e tu lo hai sempre sostenuto...

Ti sentivo vicino nella salita verso la chiesa di Santa Margherita a Cortona, io e te, senza mani intrecciate e gesti d'amore: due persone che camminano, scattano foto, ogni tanto si guardano.
Io ti sentivo accanto, ti ho sentito accanto come poche volte nella vita ho sentito qualcuno.
Non perché lo fossi realmente, anche se mi piace pensare che fosse così, ma perché io per un'intera giornata, non sono riuscita a pensare ad una vita senza di te.

Non era darti per scontato, no, ma ti ho sentito perenne e mi sono appoggiata a questa idea della tua presenza costante nella mia vita, nonostante tutto e nonostante i cambiamenti.

Credi davvero che sia una buona idea vivere dieci giorni insieme? Bere vino al tramonto? Raccontarci i giorni, come se fosse normale? Pensare a un futuro e disegnarlo, senza che ci sia?

Mi piaceva il tuo modo di camminare, eri più veloce di me, quasi sempre vago e mentre ti guardavo, con un po' di fiatone, con il ribrezzo dato dai ragni di Cosimo De Medici, ho creduto che fosse vero.

Tutto vero. Io, te, la gente, lo spazio, le vacanze che non erano fughe, ma solo condivisione, il vino, chiamarsi con nomignoli cretini che lasciano intendere un'intesa che non sarebbe stato possibile avere.

Non era il nome in sé, ma l'inflessione con cui lo pronunciavi,
la sacralità, il rituale complesso che si risolve nel rivolgersi l'uno all'altra.

Ho una canzone in testa, non riesco a smettere di ripeterla, l'ascolto, senza sosta.
E copre anche  il rumore della centrifuga.

Compleanni.

Lo scorso anno per il mio compleanno ho chiesto una torta pesche e maraschino.
Invece mi hanno regalato un bel paio di cornoni.

Ecco.

Forse è per questo che sto organizzando tre feste di compleanno a sorpresa.
Per altri.

Tanto i compleanni con i numeri pari non mi piacciono.
Lo passerò sul divano a mangiare una sacher e a calcolare le calorie che devo ancora ingurgitare per diventare una balena.

Io, comunque, i massaggi anticellulite che mi hanno fatto tanto ridere, ho deciso di non usarli.

In fin dei conti mi piace conservare i ricordi.

E quello è il ricordo e il simbolo dello squallore: tutto ciò che non voglio essere nella mia vita.

Forse è per questo che mi diverto ad organizzare le sorprese ad altri, con palloncini, porte chiuse, urletti, regali, dolcini, nasi rossi di gommapiuma... faccio per altri quello che vorrei che qualcuno facesse per me. Poi non importa se non riceverò mai nulla in cambio, tanto va bene così.

Oggi ripenso a tutti i compleanni festeggiati con grandi cene in giardino.
Non sono mancata a nessuno dei presenti.
Quasi nessuno mi ha fatto gli auguri.
E quando mi incontrano per strada salutano a stento.

Non erano amici.
Non erano amici miei.
Erano amici di un ruolo che non mi appartiene.

Che triste.

Io questo non l'ho mai fatto.
Ho voluto bene quasi tutti ed ho ricercato anche nelle lontananze, una qualsiasi vicinanza.
Spesso l'ho trovata.

Forse mi sarei risparmiata, un po', non troppo.
Forse no.

In fin dei conti ci credevo davvero.
Alle cose che si dicevano e si facevano e si gridavano.

Ed ho vissuto attimi colmi di gioia con amici che non erano amici, ma qualcuno con cui condividere piccole gioie momentanee.

Va bene anche così.

Qualcuno mi è mancato, mi sono mancate le mie amiche.
Mi sono mancate tanto.
Forse erano legate a un momento.
Non mi piace vederla così.

Ma poi penso che il mio compleanno l'ho festeggiato tantissime volte:
quando S è venuta da Roma per perdersi fra i miei monti e mi ha riempito la casa di sole, gioia e consigli letterari.
Quando E è tornata da un altro stato e in un attimo anni di silenzio si sono cancellati perché tutto era esattamente come sempre, battute e affetto compreso.
Quando P ha vissuto insieme a me la prima notte in queste stanze e mi ha regalato tutto ciò che mi mancava.
Quando M da Napoli mi avvisa dei suoi rari ritorni e allora programmiamo liste di film che non vediamo mai, perché siamo logorroici.
E anche quando N si autoinvitava a montarmi le Malm.

Questo è il punto: gli amici sono quelli con cui condividi tutto senza vivere la distanza fisica, per me.
Poi c'era chi mi era vicino eppure era distante ed io, non sono stata in grado di accorgermene.

Sono piena di gioie ed è giusto cercare di rendere felici gli altri, anche per una sola sera.


Certo quando L organizza per sua moglie grandi sorprese romantiche, mi vibra il cuore, ma ci stiamo lavorando.



Dialoghi.

- Soffro di dipendenza da giudizio.
- Non parlare difficile con me.

- I miei comportamenti spesso assecondano ciò che vuoi tu.
- Davvero?

-No.
-Ah.

- I miei comportamenti spesso assecondano ciò che tu vorresti tu.
- Ne sei certa?

- No.
-Eh.

-I miei comportamenti spesso assecondano ciò che io credo che tu vorresti da me.
- Ma veramente?

-No.
-Uh.

-I miei comportamenti spesso assecondano ciò che io credo che tu vorresti da me se io fossi in te.
-E quindi io non sarei io.
- Si, esatto.
-...

-Vabbè, ascolta, diciamo che io mi comporto come cazzo voglio, poi tu mi guardi male e allora penso di aver sbagliato tutto.
- Io non ti guardo male.
-Si, lo fai, ne soffro.
-Ma non ti guarderei mai male, forse sono solo stanco e interpreti male.

-Io interpreto benissimo. Tu mi guardi male, io ne soffro e poi me ne frego, perché in fin dei conti, non è che io possa stare tutto il tempo ad interpretare i tuoi sguardi e chiedermi che cosa faresti al mio posto se io fossi al tuo, pur rimanendo nel mio.
-Sembra il gioco delle sedie.
-Sono seria.
-Lo so, sai essere molto seria...
-Sono un'ironica.
-Sai essere acida...
-Incisiva.
-Decisiva.
-Vorrei essere imperscrutabile.
-Non ci riesci, non sei un'attrice.
-Oh si che sono un'attrice.
-Si, sei un'attrice, ma di quelle che non sa nascondere le emozioni, se sei arrabbiata si vede.
-Quindi sono una pessima attrice.
-No, ma non sai fingere nella realtà.
-Il teatro è reale.
-Ma non sei tu.
-Sono altro da me.
-Penelope tu non sai essere finta ed ogni volta che sei altro da te, hai sempre qualcosa di te.
-Il tic alla bocca?
-Smorfia.
-Bene.
-Non mangiarti le labbra, sono belle.
-Fatti i fatti tuoi.
-Acida.
-Decisiva.
-Incisiva?
-Dentista.

-Non mi piaci più.
-Si invece.
-No.
-Oh si.
-Oh no.
-Ti piacerò sempre.
-Mi piacerai fino a quando non avrò trovato un altro.
-Sono certo che lo troverai, ma io continuerò a piacerti.
-Non ne sono certa.
-Male, dammi un motivo per cui non dovrei più piacerti...
-Non sono certa di trovare un altro, sono ingrassata.
-Stai benissimo.
-Questa è una bugia, avete tutti paura che io mi metta a dieta e ricada nei miei disturbi, così mi dite che sto sempre bene e sono sempre bella e che devo mangiare e muovermi tanto. Sono una culona.
-Non sei una culona.
-Si, sono una culona e tu mi dici anche che sono acida.
-Sei acida, ma non è un buon motivo per smettere di mangiare, prova per esempio a...
-...l'uomo che voglio non posso averlo.
-Sono qui.
-Si, ci sei, ma non voglio averti .
-Perché?
-Perché ti avrei e poi non vorrei più averti e ne soffrirei e poi, se io mi concedo tutte le volte che tu mi passi accanto, che opinione avrai di me?
-Di una donna che mi vuole bene.
-No.
-Si.
-No.
-Perché?
-Perché se io fossi in te penserei che io sia una sciocca fragile donnina che si concede ogni volta in cui lo desidero senza nessuna stabilità.
-Ti concederesti a te stessa?
-Si.
-E cosa ci sarebbe di male?
-No, mi concederei a te, che sarei io. Non lo so. Comunque non ho detto che sia sbagliato, dico solo che per me è alquanto controproducente. E poi io non so cosa penserei di me se fossi in te che si relaziona con me mentre io sono io e sono anche te e sai cosa c'è?
Sono stanca di essere tutti senza poter essere me stessa, quindi ora ti dico solo un'unica cosa e poi non ne parleremo più.

-Dimmi.
-Non posso.
-Perché?
-Perché ora mi guardi male e mi sento giudicata.

domenica 28 maggio 2017

Bianco.

Vorrei appoggiarti la mia anima addosso mentre cammini per il corridoio alle tre di notte, senza sonno.

Lascio l'alba ad altri e mi prendo il diritto della tua insonnia.
Che è anche la mia.

Questo non dormire che ci affligge e rasserena, puntuale, spazio nella notte che mi permette di essere senza voler essere, pensieri senza peso che si formulano nell'aria che ormai è profumo d'estate e di cose già fatte, ricordi di nottate trascorse su pavimenti di sassi ancora caldi, parole non pronunciate, ma lasciate attendere e si affermano in creazioni che porteranno nomi di fiori e stagioni, incomprensibili ai più.

Oppure comprensibilissime, ma ignorate volutamente.

Come vorrei non sentire la dipendenza da giudizio che mi segue sulla caviglia con le sue quattro lettere e gli spiriti sempre troppo aspri.

Dieci giorni di condivisione non riporteranno in auge sentimenti melanconici delicatamente riposti in scatole di legno nell'ultimo scaffale di un armadio che non solo non ho più aperto, ma non ho proprio più.

Ho scavalcato le ante ed ho lasciato a vista la struttura di qualcosa che solitamente appare nascosta.

Non voglio più truccarmi, lascio che il rossetto sia l'unico cosmetico che riordini un'estetica che non mi assomiglia quasi più, lascio che la pelle sia pelle, con le occhiaie nel contorno occhi ed i segni attorno alla bocca, non ho voglia di mettere in risalto occhi che sono solo occhi e zigomi che non hanno pronuncia, evidentemente, taciturni.

Lascio stare anche i capelli, che decidono di essere ribelli. Chi sono io, in fin dei conti, per domare una ribellione?

E allora mi guardo e non mi riconosco, ma forse, mi vedo.
Non importa che la mia pelle sia così sottile da fare effetto.
Non mi importa che le gambe non abbiano colore e le braccia appaiano così sottili,
non acquisisco colore, ma forse, emano solo la mia luce, bianca.