venerdì 5 maggio 2017

Delicatezza.

Stasera mi sono precipitata a casa per sistemare tutte le cose che lascio in giro abitualmente, ma non dovrei.
Il sacchetto per la plastica che appendo alla sedia di cucina,
i vestiti da stirare, piegati sopra allo stendino,
la piastra per i capelli - che non funziona- sul pavimento del bagno,
il caricabatteria che dimentico sulla libreria tutte le mattine.

Mia madre e una sua amica sono venute a trovarmi e fra le chiacchiere e il caffè ho ricevuto tanti complimenti, è stato strano, ma piacevolissimo.
La delicatezza di questa amica dal corpo esile, gli occhiali senza montatura, le dita affusolate ed il tono di voce soave.
Una persona che esprime serenità e delicatezza costantemente.
Se rinasco, voglio essere così.
Bianca, sottile, armoniosa.

Ha detto che le mie stanze mi assomigliano e sono accoglienti e protettive, ritrova nell'arredamento l'idea che ha di me: come vorrei riuscire ad essere accogliente e protettiva per qualcuno, io che ho sempre cercato protezione e senso di conforto.

Io, che tento di dare protezione ad un amico, probabilmente sbagliando, ma ricercando le parole adatte e una delicatezza che difficilmente accompagna il peso di certe frasi.
Come avrei voluto abbracciarti forte e dirti che non ti meriti di essere ferito, proprio tu, che sei l'integrità fatta a persona.
Sei integro e sei pulito, ti definirei distinto e dignitoso, se dovessi raccontarti agli altri.
Hai scelto di vivere un dolore per non tradire la fiducia di qualcuno ed io mi ricordo come ci si sente a voler rinnegare quella che sappiamo essere la verità, per paura di dover aprire gli occhi e renderci conto che quello in cui abbiamo investito, è solo storia nostra.
Avrei voluto tenerti vicino e bendarti le ferite, ma non è mio compito e non posso essere io in grado di dirti ciò che è giusto fare o non fare, devi essere tu.
Avrei voluto, ma non avrei mai potuto.
Io ci sarò sempre, qualunque sia la tua decisione non potrei mai giudicarti, perché la via del perdono non è facile e si ha bisogno di un sostegno.
Oggi penso che il perdono sia distruzione di sé, che difficilmente un vizio possa smettere di essere ripetuto, anzi, forse quando viene meno, diviene desiderio.
Ma lo dico perché ho subito e non agito, troppo e troppo a lungo.

La delicatezza è parlare con un uomo che sa benissimo che stai male e stai andando in frantumi, ma non te lo dice neppure mentre impieghi un quarto d'ora a cercare tre tasti e poi, li sbagli.
E la delicatezza è una donna che probabilmente sa che con una sola parola ti potrebbe far piangere, ma non la dice e ti aiuta a farti sentire compresa.
Si, persone delicate, alle quali vorrei essere in grado di dire: "Grazie, voi mi avete salvata e non ve ne rendete neppure conto" e cose sdolcinate e fuori contesto che comprendono il senso dell'amore, del sostegno e della comunità, un bell'esempio, un raro, delicato, esempio.
Ed io sono così fortunata.

Probabilmente ne approfitto di continuo e spesso me ne vergogno, cerco di capire cosa stia sbagliando, quando lo stia sbagliando - anche se di solito lo capisco sempre dopo -, cosa sia meglio fare, cosa sia meglio dire...e sto anche imparando a riconoscere quei tasti che tutti quanti sanno riconoscere così velocemente, mentre io sono così buffa e ridicola.
Sbuffo, sbuffo perché vedere le cose fatte dagli altri è tremendamente bello ed è tremendamente difficile imparare a farlo.
Non è il metodo, no, anzi.
Mi è servito a capire che chiunque può imparare qualcosa, anche chi non è portato - eh beh, come me- eppure qualcosa poi riesci a fare, non benissimo, non sempre, ma qualcosa riesce, con una graaande lentezza.

Io sono sempre stata lenta. Delicata no, ma lenta si.
Non nel ragionamento o nel linguaggio, anzi, non sopporto chi si esprime con lentezza, il pensiero e la parola sono veloci: un minuto prima sei in un contesto, il minuto dopo, in un altro, tutto è collegato e collegabile e forse è per questo che vado sempre fuori tema.

Dritta al punto.
Fosse facile!
Mentre guardo il punto, vedo mille vie, mille cose, mille altre possibili mete, le scelte di viaggio e quelle di vita...i danni delle lingue morte.

Ieri un bambino mi ha insegnato una canzoncina buffissima, spostandomi le dita sul piano ed io l'ho trovata una cosa dolcissima. Che piccola meraviglia quel bambino sorridente con le fossette e lo sguardo perso. Vorrei abbracciarlo sempre.

Ho voglia di abbracciare le persone verso le quali provo affetto.
Mai successo in vita mia.
Ora è così.

Poi tendo a non farlo, per timore di invadere uno spazio personale o di risultare opprimente e maleducata. In fin dei conti non mi appartiene questa espressione che attraversa la fisicità.

Credo di essermi persa qualcosa, mi iniziano a piacere gli abbracci.
Non con tutti, no, ma ho avuto voglia di abbracciare la persona che mi ha regalato i sali da bagno profumati.
Una cosa meravigliosa, qualcuno ha perso del tempo per creare una cosa carina per me.
Avrei voluto piangere, non l'ho fatto. Sono così brava ormai a censurarmi...

Non so se sia normale, ma quando qualcuno mi chiede come io stia o arriva con dei barattolini pieni di tempo, mi emoziono e mi sento così importante, sembra che anche io meriti le attenzioni e la gentilezza di qualcuno e non ci sono più abituata.

Io scrivo di come stia, ma non parlo di come sto.
Non riesco a farlo, quasi mai.
Mi crogiolo nella dipendenza degli stati d'animo degli altri, vivo nel costante bisogno di sapere che chi è vicino sia felice, ma non riesco serenamente a guardare qualcuno e dirgli che sto soffrendo.

Come si fa?
E soprattutto, cosa può importare ad altri?
I miei stati psicofisici...ho imparato ad autogestirmeli, ho imparato a fare scudo e a censurare le mie necessità perché mi è sempre stato richiesto, direttamente e, o, indirettamente.

Delicatezza, sogno la delicatezza e sogno di saper essere delicata.

Nessun commento:

Posta un commento