domenica 30 aprile 2017

Scrivere.

Qualche giorno fa qualcuno mi ha detto 'no so, non leggo' e poi ha aggiunto
'anche se chi scrive, scrive per farsi leggere'.

Si scrive per farsi leggere?
Non so, ci ho riflettuto.

Non si scrive -sempre- per farsi leggere.

Non si vive per farsi vedere vivere.

Strana analogia, scrivere e vivere.
Il poeta dice che si scrive perché forse non si sa vivere.
Io non lo so perché scrivo.
Qualche volta ho pensato di saper scrivere, ma ho letto così tanto da saper riconoscere qualcosa di ben scritto e no, non so scrivere, lo faccio, ma non so farlo.

Come quasi tutto quello che faccio: lo faccio, ma non so farlo.
Ma devo.
Questa volta, invece, scelgo di farlo, con la consapevolezza di non saperlo fare.

So leggere, quello si, sono molto brava a leggere, la sono sempre stata:
fin dall'asilo, sapevo leggere e scrivere, anche un nome come il mio, che di facile ha poco.
Sono sempre stata la più brava della classe nel leggere e nello scrivere, leggevo con sentimento e riuscivo a far sentire mio quello che non era mio, riuscivo a rendere di altri, quello che era mio.

Poi non so cosa sia successo.
Il teatro ha amplificato tutto, di sicuro, scrivi per farti recitare, è vero.
Così come era vero e reale il mio recitare versi che parlavano di abbandono e totale perdita, perché è vero, fino a poco tempo fa, io amavo così, totalmente.
Ho sempre avvolto chi amavo e mi sono lasciata avvolgere, da chi mi amava: questo ero e questo cercavo.
Ora no, non lo so, adesso mi fanno paura gli abbracci e l'idea di aprirmi totalmente a qualcuno, a un uomo.
Non sarei più in grado.
Qualche volta penso di essere diventata così egoista e chiusa da non permettere a nessuno di leggermi davvero, qualche altra volta, ne sono certa.
Cosa mi è successo?
Una brutta storia, è vero, ma capita a tutti prima o poi.
Ho sempre ritenuto sciocco chiudersi nei confronti del mondo ed invece, io, l'ho fatto e sto continuando a farlo.
Non ho voglia di rimanere in nessun modo legata al passato anche quando rimango legata al distacco del passato, adesso basta.
Continuo a perdere tempo nel dissociarmi e nel sottolineare un cambiamento, non ha più senso, non è più tempo di bandiere appese, e poi gli anni sai...e l'Alighieri che troneggia. Sempre e comunque.

Lo stesso per i libri, ti vendi, vendi te stessa e molto spesso non vieni neppure  apprezzata.

Questo blog non lo prendo neppure in considerazione, sono io, ma non sono io.
Mi leggono le mie migliori amiche, mi legge mio padre, insomma, mi leggono le sole persone che sanno che sono io e come sono io.
Le mie amiche mi vogliono bene comunque e mio padre, mi vuole comunque bene.

Che tragedia dover essere mio padre e relazionarsi con me, che palle deve essere avere una figlia che vacilla fra l'indipendenza e il bisogno di lasciarsi sorreggere.
Stasera sono lacrimosa, non la ero, ma ora la sono, sarà il Cannonau.

Hai rifiutato un mio abbraccio una volta. Era il 2004, avevamo parcheggiato accanto al piccolofaro, si poteva ancora, eravamo andati insieme in un negozio, che adesso non esiste più e del quale ricordo a stento il nome (c'entrava il blue?), avevamo comprato un paio di pantaloni neri, classici, che ancora adesso ogni tanto indosso ed un incrociatino borgogna, di lana, che ho indossato anche al liceo, infeltrito. Camminavamo e volevo un tuo abbraccio, lo hai rifiutato.
Ricordo anche quando siamo usciti da quel negozio spendendo una cifra assurda, mi avevi comprato un completo bianco,  il mio primo completo, mi stava benissimo, anche se avevo abbinato delle scarpe che adesso mi sembrano orrende, ma all'epoca, mi piacevano tanto: tacco cinque centimetri e punta.

Non si scrive sempre per farsi leggere, anche perché ognuno interpreta a proprio modo ciò che si scrive.
Ho scritto di amore, di morte, di sciocchezze ed ognuno ci ha voluto leggere ciò che viveva e ciò che era.
Alcuni hanno voluto vederci un tradimento, altri una tristezza, una rottura, altri ancora un'insicurezza.
Ognuno ha un'opinione diversa su ciò che scrivo, in fin dei conti, ognuno ha un'opinione diversa su ciò che sono.
Almeno, quelli che hanno voglia di averla, un'opinione.
Poi c'è chi trova tutto sciocco a prescindere, in quanto appartenente a me.

Davvero, ascoltando "L'ultimo spettacolo" non si è capito ciò che ho scritto io?
Chi ho io?
Ho scritto di me, tutto.
Ho scritto della Penelope sciocca e frivola che viene guardata come se fosse vuota e stupida per l'amore per le scarpe con i tacchi e gli abiti e il rossetto rosso che indosso perché mi fa sentire meglio,
ho scritto della Penelope che viene appositamente reclusa nel ruolo di fidanzata e di donna, come quando per anni sono stata l'ombra di un'altra persona, grandiosa, ma comunque un'ombra senza idee e senza parola,
ho scritto della Penelope che viene guardata dall'alto in basso ogni volta che firma un foglio o da un'indicazione, perché non è Ulisse, perché ha amato un suo professore, più vecchio e sbagliato di lei, con idee assurde e una vita assurda ed allora, tutto quello che ha studiato, vissuto, imparato viene minimizzato, perché secondo una logica comune, l'ha ottenuto grazie a qualcosa che non è reale e veritiero,
ho scritto di una Penelope folle, che c'è stata ed ogni tanto c'è ancora, quella che non viene presa sul serio, viene emarginata perché è malata e senza scampo,
ho scritto della Penelope che è stata chiamata puttana per aver scelto di vivere il proprio corpo e la propria mente senza limiti, ammettendo cose che tutti facciamo, ma nessuno dice.

Eccomi, sono sempre io: vezzosa, seria, meritevole, folle, consapevole, sono io, in quasi tutte le mie forme e voi, non siete riusciti a leggermi, non mi avete vista nelle parole che ho scritto e recitato e cucito sulla mia pelle.
Si, perché mentre voltavo la testa verso il cielo io mi vedevo stretta in abiti che piacevano ad altri e non a me, perché io ho sempre amato e desiderato nascondere il mio corpo, poi mi sono vista vestita come piace a me, con abiti che lasciano il collo ed i polsi scoperti e mi fanno sentire protetta, lasciando guardare agli altri quello che mi piace di me.
Mi sono vista  seduta a quel tavolo, quando mi è stato detto con rabbia ' o l'uno o l'altra' non sapendo neppure che cazzo fosse la psicoanalisi, guardandomi lottare per la salute di chi amavo, senza la possibilità di parlare davvero e di fare qualcosa che non fosse chiudermi in camera a piegare i panni, perché questo fanno le donne dei grandi uomini: gli stirano la camicia. Poco importa della mia testa.
Mi sono rivista quando hanno sottolineato come io e te prendessimo il caffè, quando hanno voluto vedere nei miei meriti un appiglio sessuale che non c'era, perché per te ero testa, prima che corpo. Per te, il tubino rosso che mi ha regalato P, bello, leggero, ma intanto volevi parlare di rivoluzione e di date, perché gli abiti sono solo abiti ed io ero pensiero, ma gli altri, non lo sapranno mai ed io non lo dirò.
Mi sono vista a letto e poi urlante, in autostrada, sporca e magra, distrutta, con un cerchietto nero in testa, le braccia magre, la pelle gialla, i denti, solo i denti. il mio viso erano denti. E le giornate passate sul divanoletto in sala, tutte uguali, tutte senza senso, il dolore addosso e niente che potesse darmi gioia.
Mi sono vista giudicata quando ho scelto di prendermi le mie responsabilità e poter scegliere di non generare dolore, anche se tutti mi hanno vista come carnefice indolente, mentre il mio dolore era talmente grande da poter essere nascosto solo dal riso e dall'inappetenza.

Come è possibile non avermi riconosciuta?
Come è possibile non avermi letta?

O forse, più semplicemente, non ne avete mai avuto voglia.
Chissenefregavero?

E allora posso dirlo con certezza, non si scrive per essere letti perché tanto, quasi nessuno ti vuol leggere.

Così come quando regali libri e non riescono a ritrovarti fra le pagine.

Io ti regalo la parte migliore di me, quella scritta e nascosta fra le parole di altri e tu non mi trovi neppure.

Non si regala mai, altro, rispetto a sé stessi.




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