Ho bisogno della mia solitudine, si la cosa migliore secondo me sarà vivere una lunga e serena solitudine che non mi faccia sentir voglia di relazionarmi con qualcuno.
S o l a .
S o l a come quando la scorsa estate le mie amiche sottolineavano questa condizione con terrore e paura che potesse capitare anche a loro.
Ecco, forse avrei dovuto essere più S O L A .
Vediamo da questa solitudine forzata che ne viene fuori.
mercoledì 25 gennaio 2017
martedì 24 gennaio 2017
Bridget Jones 2.0
Dieci anni d'attesa, di tela filata e sfilata, di occhiate ansiose lanciate verso il mare, di mal di testa improvvisati per allontanare i Proci.
Poi saluti Ulisse, lo mandi al diavolo, gli auguri una Circe perpetua, poi te ne dimentichi e lasci scorrere via tutto, odio compreso.
Passano i mesi e i nuovi marinai che incontri ti interessano relativamente, dopo il terzo appuntamento cancelli il numero, smetti di rispondere, sparisci.
Fino al punto in cui io, Penelope più di fatto che di nome, ho incrociato qualcuno che improvvisamente sembrava valerne la pena ed ho avuto voglia di conoscerlo.
Uno che mentre parla se ne esce serenamente con "...sarebbe facile, ma non sarebbe giusto..."
ignorando il fatto che attorno a questo concetto io ci abbia scritto un monologo.
Forse mi piace.
Forse no.
Non avrei avuto voglia di espormi e quasi sicuramente penserà che io sia una sciocca bionda fuoriluogo- tanto ci vivo sentendomi così- magari non ha tutti i torti.
In ogni caso tutta la magia di questo momento viene smorzata dal dover scegliere ciò che io ritengo giusto e ciò che vorrei:
va bene, mi comporterò come una brava amica che si fa da parte ed evita ogni contatto, ogni discorso, ogni occasione per poter esprimere intenzioni che potrebbero ferire un terzo.
Ciò detto, io sarei anche stanca.
Sono stanca di una competizione assurda che io non ho intenzione di vivere nell'ambito dell'amicizia, mi conosco, ad un certo punto penso:
"Ti senti migliore di me?" Bene, sentitici.
"Vuoi fare anche questo al mio posto ? " Bene , fallo.
"Devi per forza primeggiare nei confronti del tipo che io trovo interessante e che tanto non mi filerà mai?" Bene, è tuo.
Però poi mi passa la voglia di condividere ed includere,
in fin dei conti è il principio della libertà:
comportati come meglio credi, ma ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria.
Io non riuscirei ad avere una reazione uguale, evito la competizione, affermo una reazione contraria: lentamente mi allontano, ti lascio tutto il palco, sentiti una prima donna, ma fallo quando io non ci sono già più.
In fin dei conti Bridget Jones rispetto a me risulta una Lady:
io saltello, cado, mi bagno, mi si sfilano le calze, dico parolacce, fumo, ogni tanto bevo, non ho una tonicità insita in me, mi dedico al mio cane, alla mia casa, ma non sarò mai una donnina delicata, con la voce soave, il fisico asciutto e la capacità di rendere sensuale anche la lista della spesa.
Io mi sento una rana.
Non sono particolarmente bella,
non sono particolarmente intelligente,
non sono particolarmente simpatica,
non sono particolarmente.
Ecco allora, facciamo che ti lascio vincere tutto e che in cambio eviti di sovrastarmi?
Poi saluti Ulisse, lo mandi al diavolo, gli auguri una Circe perpetua, poi te ne dimentichi e lasci scorrere via tutto, odio compreso.
Passano i mesi e i nuovi marinai che incontri ti interessano relativamente, dopo il terzo appuntamento cancelli il numero, smetti di rispondere, sparisci.
Fino al punto in cui io, Penelope più di fatto che di nome, ho incrociato qualcuno che improvvisamente sembrava valerne la pena ed ho avuto voglia di conoscerlo.
Uno che mentre parla se ne esce serenamente con "...sarebbe facile, ma non sarebbe giusto..."
ignorando il fatto che attorno a questo concetto io ci abbia scritto un monologo.
Forse mi piace.
Forse no.
Non avrei avuto voglia di espormi e quasi sicuramente penserà che io sia una sciocca bionda fuoriluogo- tanto ci vivo sentendomi così- magari non ha tutti i torti.
In ogni caso tutta la magia di questo momento viene smorzata dal dover scegliere ciò che io ritengo giusto e ciò che vorrei:
va bene, mi comporterò come una brava amica che si fa da parte ed evita ogni contatto, ogni discorso, ogni occasione per poter esprimere intenzioni che potrebbero ferire un terzo.
Ciò detto, io sarei anche stanca.
Sono stanca di una competizione assurda che io non ho intenzione di vivere nell'ambito dell'amicizia, mi conosco, ad un certo punto penso:
"Ti senti migliore di me?" Bene, sentitici.
"Vuoi fare anche questo al mio posto ? " Bene , fallo.
"Devi per forza primeggiare nei confronti del tipo che io trovo interessante e che tanto non mi filerà mai?" Bene, è tuo.
Però poi mi passa la voglia di condividere ed includere,
in fin dei conti è il principio della libertà:
comportati come meglio credi, ma ad ogni azione corrisponde una reazione uguale o contraria.
Io non riuscirei ad avere una reazione uguale, evito la competizione, affermo una reazione contraria: lentamente mi allontano, ti lascio tutto il palco, sentiti una prima donna, ma fallo quando io non ci sono già più.
In fin dei conti Bridget Jones rispetto a me risulta una Lady:
io saltello, cado, mi bagno, mi si sfilano le calze, dico parolacce, fumo, ogni tanto bevo, non ho una tonicità insita in me, mi dedico al mio cane, alla mia casa, ma non sarò mai una donnina delicata, con la voce soave, il fisico asciutto e la capacità di rendere sensuale anche la lista della spesa.
Io mi sento una rana.
Non sono particolarmente bella,
non sono particolarmente intelligente,
non sono particolarmente simpatica,
non sono particolarmente.
Ecco allora, facciamo che ti lascio vincere tutto e che in cambio eviti di sovrastarmi?
venerdì 20 gennaio 2017
David Foster Wallace
“È molto più facile avere dei cani.
Non fai sesso, certo;
ma non hai nemmeno l'impressione di urtare continuamente i loro sentimenti.”
D.F.W
giovedì 19 gennaio 2017
Senza renderlo prigioniero.
Io cerco la persona che sia capace di amare l’altro senza per questo punirlo, senza renderlo prigioniero o dissuaderlo;
cerco questa persona del futuro che sappia realizzare un amore indipendente dai vantaggi o svantaggi sociali,
affinché
l’amore sia sempre fine a se stesso
e non solo il mezzo in vista di uno scopo.
(Carl Gustav Jung a Sabina Spielrein )
mercoledì 18 gennaio 2017
Nome non ha.
Nome non ha,
amore non voglio chiamarlo
questo che provo per te,
non voglio che tu irrida al cuor mio
com’altri a’ miei canti,...
ma, guarda,
se amore non è
pur vero è
che di tutto quanto al mondo vive
nulla m’importa come di te,
de’ tuoi occhi de’ tuoi occhi
donde sì rado mi sorridi,
della tua sorte che non m’affidi,
del bene che mi vuoi e non dici,
oh poco e povero, sia,
ma nulla al mondo più caro m’è,
e anch’esso,
e anch’esso quel tuo bene
nome non ha…
amore non voglio chiamarlo
questo che provo per te,
non voglio che tu irrida al cuor mio
com’altri a’ miei canti,...
ma, guarda,
se amore non è
pur vero è
che di tutto quanto al mondo vive
nulla m’importa come di te,
de’ tuoi occhi de’ tuoi occhi
donde sì rado mi sorridi,
della tua sorte che non m’affidi,
del bene che mi vuoi e non dici,
oh poco e povero, sia,
ma nulla al mondo più caro m’è,
e anch’esso,
e anch’esso quel tuo bene
nome non ha…
Sibilla Aleramo
martedì 17 gennaio 2017
Mattino.
La mia storia d'amore con le finestre non avrà mai fine, soprattutto con questa.
Una portafinestra, doppio battente, in legno, forse noce.
Una finestra, una portafinestra.
L'ho vista spalancata sul giardino che da tanta parte lo sguardo esclude ed include.
Due battenti aperti sul mio destino e sulle infinite possibilità che la vita poteva riservare, a me, per me.
Ancora una volta ancorata ad una finestra.
I vetri sporchi, pieni di ditate di mani piccine, una retina arancione presto sostituita da veli con foglie e ricami, veli vecchi, che avevo comprato per quella casa che un tempo sentivo così mia e che proprio il tempo ha dimostrato non essere mia.
Mi manca il sole.
Mi manca la mattina.
Mi mancano le mattinate assolate e l'una del pomeriggio, il caldo che entra nei riflessi e negli occhi, sulla pelle, sulle mani, fra i capelli, sui vestiti.
Il sole che si impossessa di tutto, senza appropriarsi di nulla.
Mi piacciono le luci del mattino che attraversano i vetri, mi fanno sentire serena.
Niente stelle al neon, niente universo, ma le luci del mattino hanno sempre quel suono che mi fanno sentire un eroe a tempo perso e gli ombrelli possono rimanere agli ombrellai, tanto, anche quando piove, non riesco a credere negli ombrelli.
Pochi mesi e tutto questo sarà finito, davvero finito. Non nutro buone sensazioni, ne ho di pessime, mi sento abbandonata a un destino che non volevo prendesse questa piega, speravo di poter aprire questi battenti per molto tempo ancora, pensavo di sentire serenità oltre al tempo delle luci del mattino.
Ho paura che tutto questo finisca ed ho timore di avere ragione. Mi sento un pesce fuor d'acqua. Non mi sento più a mio agio ed vorrei godere del momento, ma non ne sono capace, forse.
Soffro del distacco da un posto che ho sentito casa proprio mentre avevo abbandonato l'ultimo luogo che ho sentito mio.
Le chiavi, la porta, la luce, quell'aula grande sempre illuminata, che adesso mi manca, pur potendoci entrare in qualsiasi momento.
Io i posti li sento quando mi abbandonano, li sento salutarmi, sento il loro addio, sento che mi mancheranno prima ancora di perderli e non vorrei perdere questo.
Quella stanzina così piccola dove ho chiamato così tante voci per sapere se sarebbero mai diventate mani, volti, nomi, per me.
La panca dove ho fatto le cinque del mattino più di una volta.
I tasto che ho suonato per la prima volta, di nascosto e poi ho tentato di suonare svariate volte.
Le sedie che chiudo e quella che non riesco a far star su, quasi il mio peso fosse troppo, troppo a lungo.
Il pc che parte quando vuole lui.
Il bagno che ho lavato, i pavimenti che ho pulito ed i panchetti che tendo ad impilare per una qualche mia strana mania.
Mi manca questo posto, perchè non lo sento già più come lo sentivo tre mesi fa e se fra poco tutto finisce, io che faccio?
Lo saluto.
Ma rimarrà sempre nel mio cuore.
Un'esperienza bellissima.
Devo imparare a vivere tutto come un'esperienza senza cercare stabilità e serenità.
Devo imparare a vivere senza aspettative, con leggerezza.
Devo imparare.
E dove si può imparare, se non in una scuola?
Una portafinestra, doppio battente, in legno, forse noce.
Una finestra, una portafinestra.
L'ho vista spalancata sul giardino che da tanta parte lo sguardo esclude ed include.
Due battenti aperti sul mio destino e sulle infinite possibilità che la vita poteva riservare, a me, per me.
Ancora una volta ancorata ad una finestra.
I vetri sporchi, pieni di ditate di mani piccine, una retina arancione presto sostituita da veli con foglie e ricami, veli vecchi, che avevo comprato per quella casa che un tempo sentivo così mia e che proprio il tempo ha dimostrato non essere mia.
Mi manca il sole.
Mi manca la mattina.
Mi mancano le mattinate assolate e l'una del pomeriggio, il caldo che entra nei riflessi e negli occhi, sulla pelle, sulle mani, fra i capelli, sui vestiti.
Il sole che si impossessa di tutto, senza appropriarsi di nulla.
Mi piacciono le luci del mattino che attraversano i vetri, mi fanno sentire serena.
Niente stelle al neon, niente universo, ma le luci del mattino hanno sempre quel suono che mi fanno sentire un eroe a tempo perso e gli ombrelli possono rimanere agli ombrellai, tanto, anche quando piove, non riesco a credere negli ombrelli.
Pochi mesi e tutto questo sarà finito, davvero finito. Non nutro buone sensazioni, ne ho di pessime, mi sento abbandonata a un destino che non volevo prendesse questa piega, speravo di poter aprire questi battenti per molto tempo ancora, pensavo di sentire serenità oltre al tempo delle luci del mattino.
Ho paura che tutto questo finisca ed ho timore di avere ragione. Mi sento un pesce fuor d'acqua. Non mi sento più a mio agio ed vorrei godere del momento, ma non ne sono capace, forse.
Soffro del distacco da un posto che ho sentito casa proprio mentre avevo abbandonato l'ultimo luogo che ho sentito mio.
Le chiavi, la porta, la luce, quell'aula grande sempre illuminata, che adesso mi manca, pur potendoci entrare in qualsiasi momento.
Io i posti li sento quando mi abbandonano, li sento salutarmi, sento il loro addio, sento che mi mancheranno prima ancora di perderli e non vorrei perdere questo.
Quella stanzina così piccola dove ho chiamato così tante voci per sapere se sarebbero mai diventate mani, volti, nomi, per me.
La panca dove ho fatto le cinque del mattino più di una volta.
I tasto che ho suonato per la prima volta, di nascosto e poi ho tentato di suonare svariate volte.
Le sedie che chiudo e quella che non riesco a far star su, quasi il mio peso fosse troppo, troppo a lungo.
Il pc che parte quando vuole lui.
Il bagno che ho lavato, i pavimenti che ho pulito ed i panchetti che tendo ad impilare per una qualche mia strana mania.
Mi manca questo posto, perchè non lo sento già più come lo sentivo tre mesi fa e se fra poco tutto finisce, io che faccio?
Lo saluto.
Ma rimarrà sempre nel mio cuore.
Un'esperienza bellissima.
Devo imparare a vivere tutto come un'esperienza senza cercare stabilità e serenità.
Devo imparare a vivere senza aspettative, con leggerezza.
Devo imparare.
E dove si può imparare, se non in una scuola?
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domenica 15 gennaio 2017
Mancanze interrotte.
Mi mancano le mie foto, i miei ricordi, le immagini, mi mancano le raccolte di scontrini, biglietti, i segni sui muri, mi manca la vista da quella finestra così bassa da poter essere scavalcata, mi manca appoggiarmi allo stipite e fumare con l'aria che circola veloce dalla sala, mi manca il freddo leggero, quello estivo che sentivo alle due di notte quando a luglio guardavo le stelle seduta su quello scalino che mi piaceva tanto.
Mi manca il tavolo sul quale studiavo, vicino al fuoco, affianco alla vista sulla strada, mi manca la porta che non si chiudeva, il rumore del metallo sbattuto, mi manca il gelo che entrava dalla finestra del bagno mentre ero immersa nell'acqua bollente, il respiro trattenuto e gli occhi aperti.
Mi manca l'odore di muffa e mughetto che avevano le pareti sempre umide, mi manca la mensola dove ho preso due testate secche e il legno che sentivo liscio, mi manca la sensazione di un luogo da condividere, mi mancano gli interruttori.
Mi manca il tavolo sul quale studiavo, vicino al fuoco, affianco alla vista sulla strada, mi manca la porta che non si chiudeva, il rumore del metallo sbattuto, mi manca il gelo che entrava dalla finestra del bagno mentre ero immersa nell'acqua bollente, il respiro trattenuto e gli occhi aperti.
Mi manca l'odore di muffa e mughetto che avevano le pareti sempre umide, mi manca la mensola dove ho preso due testate secche e il legno che sentivo liscio, mi manca la sensazione di un luogo da condividere, mi mancano gli interruttori.
Ma non mi sei mai mancato tu.
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